Un insider e un outsider forgiano il governo bifronte di Trump

Il mastino Bannon detta la linea, il protocollare Priebus tiene i rapporti con il partito e sbriga la burocrazia. i due sono la tesi politica e l’antitesi antipolitica. Il presidente in cerca di una sintesi

Steve Bannon nel backstage di un comizio di trump durante la campagna a Phoenix (foto LaPresse)

di Mattia Ferraresi | 14 Novembre 2016 ore 20:40 Foglio (sul quale lo leggerete domani)

New York. Le prime due nomine di Donald Trump alla Casa Bianca sono il simbolo della sua identità bifronte, lui che è contemporaneamente insider e outsider della scena. Entrambe le anime devono essere rappresentate e coltivate. Il poliziotto cattivo dell’Amministrazione è Steve Bannon, promosso a “capo della strategia e consigliere senior” dopo mesi di intenso e proficuo lavoro come amministratore delegato della campagna elettorale. Bannon, ex direttore di Breitbart, è stato il promotore della linea intransigente che Trump ha tenuto fino a conquistare le elezioni. Quando i consiglieri più azzimati e prudenti gli suggerivano di virare prudentemente verso il centro, di moderare tono e messaggio per essere più competitivo contro Hillary, lui rilanciava la battaglia antipolitica, invitando il candidato a conservare la sua natura populista ed eterodossa. Alla fine ha avuto ragione lui. Il tribuno della destra più vociante ha iniziato la carriera a Goldman Sachs, ma poi si è ricreduto sull’ideologia globalista che governa le grandi banche di Wall Street e si è messo a fare soldi dalla sua piccola boutique finanziaria, specializzata in fusioni nell’ambito dei media. Molti democratici e associazioni per i diritti civili dicono che Bannon è un portavoce ufficioso della alt-right, la destra identitaria ed etnonazionalista che opera nell’ambito della supremazia bianca, giusto con un po’ di scaltrezza e capacità intellettuale in più rispetto ai gruppuscoli in stile tifo organizzato.

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Il Southern Poverty Law Center, osservatorio sull’estremismo, lo include nella lista dei nazionalisti bianchi da tenere d’occhio. Dagli anni Novanta circola voce di sue posizioni antisemite, e la sua comparsa nella campagna ha coinciso con un aumento di simboli e slogan contro gli ebrei nei vasti sotterranei digitali della militanza trumpista. Trump si è dissociato in modo assai blando dai suoi impresentabili sostenitori. Bannon ha tenuto a distanza vecchi operativi nixoniani che orbitavano nella campagna di Trump, da Roger Stone a Roger Ailes, e da “capo della strategia” potrà occuparsi di modellare la visione del presidente senza impantanarsi negli obblighi istituzionali. Il suo destino, a quanto pare, è diventare ciò che Valerie Jarrett è stata per Obama.

Il protocollo e gli obblighi istituzionali toccheranno invece a Reince Priebus, poliziotto buono scelto per il ruolo di chief of staff. Lui e Bannon saranno soci alla pari del consorzio dei pretoriani del presidente. Priebus è il capo del Partito repubblicano, un burocrate che non è mai stato eletto in nessuna carica ma si è specializzato nell’intessere relazioni e nel raccogliere fondi. Quando ha ereditato da Michael Steele la guida del partito si è trovato con un debito da 23 milioni. Il suo merito, in questa campagna, è di aver messo con discrezione al servizio di Trump la macchina elettorale del partito senza scontentare chi, nei ranghi dell’establishment, non voleva saperne del candidato. Si è distinto per capacità di tenere un piede in più scarpe quando alla convention repubblicana ha tenuto, senza battere ciglio, un discorso opposto a quello del candidato. Mentre Trump parlava di muri, violenze e nostalgie di un’antica grandezza, lui proclamava: “Siamo il partito delle porte aperte”, “siamo il partito delle nuove idee”.

E’ stato chiaro che avrebbe occupato un posto di rilievo quando Trump, nel discorso della vittoria, lo ha invitato a dire qualche parola dal podio. In quanto uomo del Wisconsin e consumato operatore politico, Priebus è un ponte naturale verso lo speaker Paul Ryan e il Congresso interamente a maggioranza repubblicana, con il quale è necessario per Trump forgiare un’alleanza solida. Il nuovo capo di gabinetto potrà agevolare il processo, e i trumpisti intransigenti dovranno adeguarsi e capire le ragioni della scelta istituzionale. Lo scrittore Michael Savage ha detto che la gente come Priebus è “esattamente il motivo per cui l’America ha votato Trump” e l’ideologo della alt-right Richard Spencer sostiene che il capo di gabinetto “ha una personalità da ‘golden retriever’”, e non era esattamente un complimento.

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