Trump e il muro "moderato" con il Messico
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Nella prima intervista post elezioni, The Donald ha detto che il muro non sarà necessariamente in muratura e che l’amministrazione non rimpatrierà gli 11 milioni di clandestini che vivono in America, ma si concentrerà sui “due o tre milioni” di criminali. Insomma una prospettiva non lontana da quanto fatto dall’Amministrazione Obama
di Mattia Ferraresi | 14 Novembre 2016 ore 08:00 Foglio
Donald Trump ha usato la sua prima intervista televisiva da presidente eletto per moderare tono e messaggio, lasciando tuttavia intatto lo sfondo di stucchi dorati e alabastro della Trump Tower, aspetto “flamboyant”, come direbbe anche Putin, al quale siamo ormai più che vaccinati, ma che malamente s’attaglia con lo stile presidenziale. Il salto di paradigma è anche questo. Alla trasmissione “60 Minutes” di Cbs ha parlato dell’incontro delle sue aspettative la notte elettorale, poi dell’incontro con Obama, di Hillary e Bill, del partito repubblicano, di Twitter, delle proteste contro la sua elezione, di aborto, dell’Obamacare e di molto altro, ma l’aspetto di policy sul quale si è soffermato più a lungo è quello del muro al confine con il Messico e della riforma dell’immigrazione. Ora dice che “ha tante priorità” da snocciolare il giorno dopo l’insediamento alla Casa Bianca, ma la questione messicana, caricata di un immenso valore simbolico, rimane in cima alla lista.
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Trump ha detto in sostanza due cose: innanzitutto il muro non sarà necessariamente una barriera in muratura, ma in alcuni tratti sarà una rete o una cancellata; in seconda battuta, l’amministrazione non tenterà di rimpatriare gli undici milioni di clandestini che vivono in America, ma si concentrerà sui “due o tre milioni” di criminali.
L’idea del rimpatrio totale, assurda anche da un punto di vista pratico a meno di non voler prendere la linea “romanzo di Orwell”, era già scivolata via dai propositi durante la campagna elettorale, e ora viene ufficialmente stralciata. Impossibile dire ora quale piega prenderà una vicenda che si decide nei dettagli della policy, ma la cornice delineata da Trump nei suoi tratti fondamentali non è proprio dissimile da quanto gli Stati Uniti hanno sperimentato e sperimentano ancora oggi. Un terzo dei 3.200 chilometri del confine è già segnato dalla presenza di cancellate, recinzioni e, in misura minore, di muri; dove non c’è una separazione fisica è in azione la “barriera virtuale”, insieme di sensori, telecamere e altre misure tecnologiche per controllare e impedire i flussi di clandestini.
La costruzione di un muro avrebbe un impatto simbolico e politico enormemente più grande rispetto ai termini reali del problema. La riduzione poi dell’obiettivo minimo di rimpatrio a “due o tre milioni” di persone non è lontano da quanto fatto dall’Amministrazione Obama, che dal 2009 al 2015 che ne ha rispediti in patria oltre due milioni e mezzo. Il 91 per cento di questi aveva la fedina pensale sporca, criterio supremo con cui la polizia di frontiera stabilisce le priorità dei rimpatri.
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