LA “GUERRA DELLE BANCONOTE” TRA LE DUE LIBIE
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Stampate da Londra per una parte e da Mosca per l'altra. Per la zona Italiana invece assegni postdatati
di Redazione3 giugno 2016, pubblicato in News AD
La paventata “guerra delle banconote” in Libia è già un realtà.Nell’est controllato dal governo di Tobruk le banche hanno iniziato oggi a usare nuove banconote, stampate in Russia, uno sviluppo considerato “molto pericoloso e preoccupante” per il futuro del Paese.
Banconote per un totale di 200 milioni di dinari sono arrivate martedì da Mosca (ove vengono stampate anche le lire siriane) all’aeroporto di Labraq, si legge sul Guardian, secondo cui la Banca Centrale di al-Bayda – legata al governo di Tobruk – ha iniziato a mettere in circolazione i contanti, con l’obiettivo di ‘raggiungere’ entro il fine settimana anche l’ovest della Libia.
La Russia ha un contratto che prevede la fornitura di banconote per quattro miliardi di dinari libici., valuta cambiata intorno ai 67 centesimi di euro per un dinaro.
Intanto, scrive il giornale, la Banca Centrale di Tripoli controllata dal governo di Fayez al-Sarraj sostenuto dall’Onu ha ricevuto altri 112,5 milioni di dinari in banconote stampate dalla società britannica De La Rue che ad aprile aveva inviato 70 milioni di dinari in Libia sempre con un velivolo atterrato all’aeroporto di Mitiga a Tripoli.
Nell’ex colonia italiana la carenza di contante ha imposto da tempo limiti ai prelievi bancari e sta facendo aumentare l’utilizzo di assegni postdatati.
Sadiq al-Kabir, governatore della Banca Centrale di Tripoli, ha chiesto al Consiglio presidenziale libico di vietare che le banconote ‘rivali’ vengano messe in circolazione. In una lettera diffusa dal portale di notizie libico al-Wasat, si legge che “la Commissione per le politiche monetarie della Banca Centrale ritiene necessario rifiutare la moneta arrivata dalla Russia e vietarne la circolazione in tutte le banche che operano in Libia”.
“La stampa di banconote in Russia è avvenuta in circostanze poco chiare e in contrasto con la legge”, prosegue la missiva, e questo “rafforza lo stato di divisione politica, danneggia consenso nazionale e offre spunto alla comunità internazionale per congelare i fondi della Banca Centrale”.
Ali Salim al-Hibri, governatore della banca ‘rivale’ in Cirenaica e un tempo riconosciuto come il governatore della Banca Centrale dal Fondo monetario internazionale, ha sostenuto di aver stampato banconote per 4 miliardi di dinari con l’aiuto della Russia.
La scorsa settimana gli Stati Uniti, sostenitori di al-Sarraj, hanno fatto sapere di convenire con il nascente governo di concordia nazionale che le banconote di Bayda “sarebbero contraffatte e potrebbero compromettere la fiducia nella moneta libica, così come la capacità della Banca Centrale libica di gestire una politica monetaria tale da consentire la ripresa economica”-
Le fonti diplomatiche del Guardian temono che le banconote ‘rivali’ possano solo alimentare il caos nel Paese, teatro della battaglia politica tra il nascente governo del premier designato Fayez al-Serraj e il Parlamento di Tobruk.
Il 31 maggio il presidente del parlamento libico di Tobruk, Aguila Saleh, ha definito “inaccettabile” il riconoscimento ottenuto dal governo di riconciliazione libico del premier Fayez al Sarraj da parte della Lega Araba. Parlando nel corso di una seduta della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Saleh ha ribadito che “prima di essere riconosciuto il governo deve assumere i poteri e non può farlo senza il voto di fiducia del parlamento.
Per questo il governo transitorio di Tobruk ha presentato appello contro la decisione della Lega Araba” di affidare al governo di Tripoli il seggio che spetta alla Libia.
Il governo di accordo nazionale libico del premier Serrajha ricevuto infatti il sostegno ufficiale della Lega Araba, dopo l’appoggio garantito da Onu e Paesi Occidentali.
Parlando ai deputati del riconoscimento ottenuto dai suoi avversari da parte della Lega Araba, il premier del governo transitorio, Abdullah al Thani, ha accusato il consesso arabo di “essersi piegato alle pressioni esercitate da alcuni paesi, in particolare da Algeria, Sudan e Qatar.
(con fonti Adnkronos e AGI/Nova)
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