Quel che l’immigrazione dice di noi
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L’Europa passiva e ritirata su se stessa davanti ai flussi che ci scelgono
di Redazione | 03 Giugno 2016 ore 19:47 Foglio
Venerdì il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha scritto che non bisogna credere ai molteplici allarmismi rilanciati dai media, crisi migratoria inclusa. Vero, le decisioni prese esclusivamente sotto una spinta emotiva non sono mai le più efficaci. Poi è entrato nel merito e ha aggiunto: “Si dice che da quando si è fatto l’accordo in Turchia i numeri degli sbarchi in Italia sono aumentati all’improvviso e in modo esponenziale. E’ falso. Guardiamo i dati al primo giugno del 2015 e del 2016. Stesso giorno, primi cinque mesi dell’anno. In Italia lo scorso anno erano arrivate poco più di 47 mila persone. E, nemmeno a farlo apposta, sono arrivate poco più di 47 mila persone nel 2016. La stessa cifra. Non solo: ma gli arrivi da Turchia e Grecia si sono ridotti di almeno tre volte e non superano le 300 unità in cinque mesi da entrambi i paesi”. Vengono omessi due dettagli, non di poco conto. Il confronto con l’anno scorso è veritiero, i numeri sono quelli, nessun balzo degli sbarchi per ora; occorre far notare però che il 2015 fu di per sé un anno d’emergenza, con 153.842 stranieri soccorsi o sbarcati sulle nostre coste, non proprio un manipolo e solo il nove per cento in meno rispetto al 2014 da record (170.100); tanto che l’Italia nel 2015 ha avuto 83.970 richieste d’asilo, in aumento del 32 per cento dal 2014. Inoltre è vero che l’accordo tra Unione europea e Turchia ha ridotto il flusso dal confine orientale, come sostiene Renzi, ma i numeri dimostrano che i flussi in partenza dall’Africa sono inalterati. Bravina Merkel, insomma, nel cercare di mettere una toppa dopo l’apertura indiscriminata dello scorso autunno, ma noi italiani ed europei meridionali?
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Al di là della polemica domestica, comunque, c’è un punto di fondo che le élite europee faticano ad accettare. Il Wall Street Journal, infatti, fa bene a collegare “la tragedia mediterranea” ad alcune profonde correnti intellettuali e alle conseguenti scelte politiche che caratterizzano il Vecchio continente. “Al di là dei coraggiosi sforzi francesi in Mali, i leader europei si sono rifiutati di usare la forza in nord Africa per sconfiggere lo Stato islamico e ristabilire una sembianza di governo normale. Preferiscono attendere una ‘soluzione politica’ che, come in Siria, non sembra arrivare mai. Se avevano sperato che il presidente americano Obama li potesse soccorrere dai loro fallimenti nell’area, come Bill Clinton fece prima di lui nei Balcani, adesso sono rimasti decisamente delusi”. Conclude il Wall Street Journal: “Abbiamo passato anni, anzi decenni, ascoltando i mandarini di Bruxelles i quali sostenevano che l’Europa non aveva più bisogno di strumenti di hard power per tutelare i propri interessi nel mondo. Le tragedie che si verificano nel Mediterraneo, pesando adesso sulla coscienza dell’Europa, sono l’ennesima dimostrazione di quanto fossero di breve respiro le speranze di quegli euroburocrati”. Un’Europa che per scelta si è chiusa in se stessa, idealmente e militarmente, non può più scegliere come governare l’immigrazione. Saranno i barconi a scegliere o meno lei come destinazione.
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