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L’americana Intercontinental contrasta l’ipotesi di fusione tra la Borsa inglese e quella tedesca . L’idea di una Borsa paneuropea, prova di un’allenza anti Brexit, rinviata dall’altolà americano
di Ugo Bertone | 02 Marzo 2016 ore 06:15 Foglio
Milano. Ma quant’è difficile sbarcare sulle rive del Tamigi. A nemmeno una settimana dall’annuncio dell’accordo tra il London Stock Exchange e la Deutsche Börse, che si specchia sulla riva del Meno a pochi chilometri dal quartier generale della Bce, ecco che a contrastare il varo dell’alleanza arriva quel guastafeste di Jeff Sprecher, americano del Wisconsin, leader supremo dell’Intercontinental Exchange (Ice), da lui rilevato per un dollaro nel 1990, oggi in cima a una piramide di controllate che vanno dal Liffe (derivati) al New York Stock Exchange, passando dai listini azionari di Parigi e Amsterdam nonché ai mercati del petrolio e delle commodity. Oltre agli scambi sui derivati e di quasi tutto quello che può transitare nelle clearing house (o camere di compensazione) della finanza globale. Un rivale temibile, tanto che è bastata la conferma che l’Ice potrebbe lanciare un’offerta sulla Borsa della City, che tra l’altro controlla Piazza Affari, per fare schizzare il titolo del 7 per cento abbondante. Potrebbe essere solo l’inizio di una gara a tre se, come riporta il Wall Street Journal, arriverà anche un’offerta del Cme, l’altro gigante americano che gestisce il Chicago Mercantile Exchange. Un’asta miliardaria: si parte da 28 miliardi di sterline (tanto quanto vale l’alleanza alla pari con Francoforte) per salire chissà dove. Ma l’aspetto finanziario rischia di essere il meno rilevante nell’ennesima sfida tra il modello empirico anglosassone e l’architettura delle grandi costruzioni del capitalismo renano, ideate nei pensatoi europei. L’idea di una Borsa paneuropea viene da lontano e ha radici italiane.
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La grande Borsa del Vecchio continente, sottoposta a un regime di regole comune e stringente, è un sogno che arriva da lontano, inseguito invano da Tommaso Padoa Schioppa fin dai tempi della nascita dell’euro. Oggi, ai tempi della grande crisi bancaria, rivive sotto l’insegna dell’Unione del mercato dei capitali, il progetto del commissario europeo per la Stabilità finanziaria, Jonathan Hill, che mira a una sola grande comunità finanziaria dove per i 28 stati dell’Unione europea valgano le stesse leggi e le stesse regole. Una sfida improba e un po’ surreale, se si pensa ai problemi che stanno frenando l’Unione bancaria e che si moltiplicheranno se un giorno i governi dovessero rinunciare del tutto alla difesa dei “campioni nazionali” o sottoporre gli operatori a un eccesso di controlli, tipo quelli che la nuova direttiva sui mercati, la Mifid 2, prevede sui movimenti del reddito fisso, per ora rinviato di un anno sotto la pressione della City.
Di tutt’altra natura la strategia di mister Sprecher, liberista per scelta e necessità che ha iniziato la sua scalata all’Olimpo dei mercati occupando il posto di Enron, il gigante elettrico americano travolto dalla crisi dei derivati dell’energia. La strategia, da allora, non è mai cambiata: l’Ice si occupa di fare incontrare domanda e offerta in terreno neutrale, con le commissioni più basse, rese possibili dall’utilizzo di algoritmi e potenza di calcolo. E’ con queste armi che Ice tenta di infrangere l’alleanza tra i tedeschi e la City. Chi vincerà? L’attesa, salvo sorprese, sarà breve. Ice secondo le regole, ha tempo per presentare la sua offerta fino al 29 marzo. Una settimana prima l’Authority britannica si dovrà pronunciare sul progetto di nozze tra Lse e Deutsche Börse. Allora, salvo deroghe o rinvii, si deciderà un bel pezzo di futuro per la finanza europea e non solo. In gioco c’è molto di più del luogo ove si scambiano azioni. La vera partita riguarda il reddito fisso, il trading delle valute e i futures sulle materie prime. Ovvero i settori, finora in pratica gestiti dal monopolio delle grandi banche, dove si sono manifestate le truffe più clamorose a danno dei clienti grandi e piccoli. Anche per questo è andato in crisi il modello bancocentrico, a vantaggio di un terreno di gara, la Borsa, che possa garantire un arbitraggio neutrale. Ma che richiede, viste le dimensioni di investimento necessarie, grandi spalle finanziarie. E, non meno importante, indipendenza.