Profitti azzerati, tanta liquidità e banche in panne dietro lo sboom delle Borse
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I mercati delle azioni hanno perso la loro spinta propulsiva, che è data dalla crescita dei profitti (che sono il reddito dell’azionista) e dalla discesa dei rendimenti delle obbligazioni (che sono l’alternativa di investimento)
di Giorgio Arfaras | 08 Febbraio 2016 ore 20:08 Foglio
Milano. I mercati finanziari sono conservatori: mantengono le stesse idee a lungo, ma quando le cambiano, le cambiano in fretta. Infatti, salgono lentamente per molto tempo e poi cadono velocemente in poco tempo. La caduta repentina dell’ultimo mese ne è un esempio. Abbiamo a che fare con un andamento improvviso? No, l’appetito per il rischio da tempo stava scemando, ma questo lo si osservava solo sul mercato delle obbligazioni private. Negli Stati Uniti le obbligazioni private di peggior qualità hanno dei rendimenti che crescono rispetto a quelle di miglior qualità fin dalla metà del 2014. Ossia, crescendo il loro rendimento relativo, si palesa il desiderio degli investitori di avere una maggior copertura del rischio.
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Dopo più di un anno, il modesto appetito per il rischio è arrivato nei mercati delle azioni. La Borsa statunitense è ferma ai livelli del 2014, mentre quelle europee si sono fermate nel marzo del 2015, e da allora sono flesse per tornare sui livelli del 2014. La ragione di questo andamento è che i mercati delle azioni hanno perso la loro spinta propulsiva, che è data dalla crescita dei profitti (che sono il reddito dell’azionista) e dalla discesa dei rendimenti delle obbligazioni (che sono l’alternativa di investimento). I profitti non crescono negli Stati Uniti e in Europa. I rendimenti non possono più scendere, perché o sono minuscoli (come in Italia e negli Stati Uniti), oppure sono negativi (come nell’Europa del Nord e in Giappone). Se i profitti non salgono, e i rendimenti non scendono, le Borse possono salire per qualche tempo, ma poi flettono. Altrimenti detto, non si possono avere le Borse in ascesa solo per la spinta della liquidità generata dalle banche centrali. Abbiamo avuto tre fattori scatenanti la correzione: la Cina, il petrolio, e il settore bancario.
Il petrolio è oggi così importante soprattutto per il suo effetto depressivo sull’inflazione. Ne inibisce l’ascesa, oppure fa flettere il livello generale dei prezzi. Inoltre, non si ha una spinta sul versante della domanda, perché il risparmio “alla pompa”, invece di trasformarsi in maggiori consumi, va a ridurre il debito delle famiglie, come si è visto negli Stati Uniti.
Negli ultimi tempi si è aggiunto lo scetticismo sul settore bancario, che non può avere un margine da interesse significativo – ossia le banche raccolgono sì il denaro a basso costo, ma lo reimpiegano ricavandone ben poco. Non solo in Italia (dove si hanno i crediti difficili da riscuotere), ma anche negli altri paesi (dove si hanno le obbligazioni tossiche), si ha il problema della modesta redditività delle banche. La loro bassa redditività rende difficile accantonare riserve per coprire i cattivi crediti e i cattivi titoli.
I mercati finanziari tendono sempre a “esagerare” (in gergo “overshooting”, sovra reazione). Quando le cose vanno male, si immagina lo scenario peggiore, se vanno bene, come avviene con le “bolle”, si pensa al Paradiso in Terra. Siamo nella fase della ricerca di un pavimento dei prezzi.
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