L’industria petrolifera è sotto schiaffo degli pseudo-ecologisti
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Viene continuamente frustrata la volontà del governo Renzi di incoraggiare lo sfruttamento delle sottoutilizzate risorse nazionali di idrocarburi e così l’ambizione di raggiungere una quasi-autarchia energetica dalle opposizioni locali e dai movimenti ambientalisti
di Alberto Brambilla | 20 Novembre 2015 ore 06:18
Roma. Viene continuamente frustrata la volontà del governo Renzi di incoraggiare lo sfruttamento delle sottoutilizzate risorse nazionali di idrocarburi e così l’ambizione di raggiungere una quasi-autarchia energetica. L’opposizione di alcune regioni alle perforazioni petrolifere e l’ostruzionismo dei movimenti ambientalisti che promuovono provvedimenti legislativi paralizzanti per il settore oil & gas rischiano di fornire un pretesto alle compagnie straniere per ridimensionare la loro presenza in Italia dato che il calo dei prezzi del greggio costringe a smantellare asset un po’ ovunque.
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Nel giugno 2014 Federica Guidi, il ministro dello Sviluppo economico, rivendicava al G7 dell’Energia a Roma l’urgenza di rilanciare l’attività estrattiva in Italia, statica da un decennio, e di valorizzare al massimo le quarte risorse di gas e le terze di petrolio in Europa per creare migliaia di posti di lavoro e ottenere 17 miliardi di euro di investimenti (stime con i prezzi del 2014 a oltre 100 dollari al barile; oggi sono a 40 dollari). Una dichiarazione d’intenti coraggiosa che il Foglio applaudì come altri commentatori ma fu malaccolta da una pletora di soggetti che l’hanno osteggiata in varie sedi istituzionali aggiungendo abbondante demagogia.
Il provvedimento cardine, il decreto Sblocca Italia, è stato annacquato in Parlamento con l’aggiunta di complicazioni burocratiche prima inesistenti legate a un serie di decreti attuativi. L’ipotesi di vietare le prospezioni geo-sismiche (“air-gun”) inserita con un blitz in Aula suscitò addirittura l’allarme dell’ambasciata britannica e fortunatamente venne eliminata. Otto regioni (Puglia, Sardegna, Molise, Basilicata, Marche, Abruzzo, Calabria,Veneto) ora minacciano un referendum abrogativo di alcuni articoli. Le regioni hanno depositato i quesiti alla Corte costituzionale e si aspetta la pronuncia di ammissibilità. Come ha detto al Foglio Paolo Scaroni, vicepresidente di Rothschild Group ed ex ad di Enel e di Eni, “non c’è nessuna ragione razionale intorno a questo”. Semmai, appunto, s’indovina l’intento dei presidenti di regione – sette del Pd guidato dal premier Matteo Renzi – di fare retrocedere il governo sulla riforma del titolo V della Costituzione che dà alle regioni potere di veto in materie concorrenti con lo stato centrale; è il caso degli idrocarburi. La sclerosi dell’ambientalismo italiano ha prodotto altri effetti paradossali e contundenti. Il “collegato ambientale”, il disegno di legge a tema ecologico che affianca la legge di Stabilità, approvato dal Senato e in esame alla Camera, rischia di rallentare ulteriormente le già lente procedure di Valutazione di impatto ambientale col rischio di paralizzare in primis i bacini di stoccaggio del gas metano. Le imprese sono allarmate così come le associazioni ambientaliste, scrive il Sole 24 Ore, perché se l’uso del gas si ferma saranno altre fonti, magari “sporche” ed estere, a supplire.
Per diverse ragioni le associazioni ambientaliste non hanno dimostrato negli anni di essersi guadagnate l’attenzione che nei paesi anglosassoni, più civili di quelli euro-mediterranei, viene loro riservata come co-protagonisti delle politiche pubbliche visto che la volontà è quella di bloccare qualsiasi iniziativa anziché di costringere l’industria a usare tecnologie avanzate. Su 91 impianti contestati dalla popolazione, sono 22 quelli afferenti al settore degli idrocarburi, secondo l’ultimo rapporto annuale di Nimby Forum che ha monitorato 355 casi di opposizione agli impianti industriali nel 2014 (dai 336 del 2013).
L’industria comunque migliora da sé. Rockhopper, osteggiata dalla regione Abruzzo con provvedimenti contra legem per il sito di Ombrina Mare, ha scelto di usare il gas in pressione del pozzo per alimentare l’impianto antincendio anziché usarne uno esterno per risparmiare inquinando meno. “Con il ‘no a tutto’ e capziosi accordi partitici si fornisce sul piatto l’exit strategy alle società petrolifere, che comunque hanno la forza di concorrere per altre commesse mondiali. Il rischio è quindi che entrino in crisi decine di subcontrattisti dell’impiantistica industriale italiana”, dice Gianni Bessi, consigliere regionale del Pd in Emilia Romagna; regione che nel ravennate ospita il polo nazionale dell’ingegneria estrattiva. I colossi americani Schlumberger e Hulliburton che lì impiegano centinaia di persone hanno annunciato l’ampliamento degli ammortizzatori sociali, per ora ristretti a un limitato numero di addetti. In un ambiente economico-politico inospitale, la falla rischia però di allargarsi pericolosamente.
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