Ogm, multinazionali, appalti: il futuro dell’Europa si decide a porte chiuse
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A Bruxelles le manifestazioni del movimento No Ttip si susseguono regolari. I dubbi sul Trattato commerciale transatlantico cominciano ad arrivare anche in America. Ma la Commissione europea è tutta a favore
di Arianna Sgammotta 20 Ottobre 2015 - 08:28 Linkiesta
Sono ripartiti il 19 ottobre a Miami, in Florida, in un crescendo di proteste, i nuovi negoziati sul Ttip, il trattato per l’istituzione di un'area di libero scambio tra Ue e Stati Uniti. Undicesimo giro di tavolo, undicesimo incontro tra le due squadre di negoziatori in più di un anno. Da un lato la Commissione europea, dall’altra gli sherpa del Dipartimento per il Commercio Usa.
Al centro delle riunioni serrate e rigorosamente a porte chiuse: il commercio degli Ogm in Europa, la risoluzione delle dispute tra Stati e multinazionali, la cooperazione normativa (regulatory cooperation), ma anche la partecipazione delle aziende comunitarie agli appalti made in Usa. In pratica i temi più controversi dell'accordo commerciale e per la liberalizzazione dei servizi tra le due sponde dell’Atlantico. Gli stessi sui quali l’estate scorsa si è già espresso l’Europarlamento che ha approvato a larga maggioranza una relazione nella quale indica ai negoziatori comunitari le linee da non superare nelle trattative con gli statunitensi.
Tra i punti non negoziabili per l’Europarlamento vi sono: l’introduzione dei tribunali cosiddetti per l’arbitraggio, ovvero la risoluzione di dispute tra multinazionali e Stati membri, che i deputati europei considerano lesivi dei principi democratici e al posto dei quali propongono l’introduzione di un nuovo sistema regolamentato dai principi giuridici esistenti. Il tentativo del Parlamento Ue è di evitare che le grandi corporation possano manipolare l’approvazione di politiche pubbliche contrarie agli interessi commerciali di parte. Sotto i riflettori dell’aula di Strasburgo anche il divieto al commercio degli Ogm, consentiti negli Usa, o della carne bovina allevata con ormoni. Pratica quest’ultima consentita negli Usa, ma non in Europa. E poi l’esclusione dall’accordo dei servizi pubblici europei, garantendo in questo modo che istruzione, sanità e servizi idrici restino nelle mani degli Stati e non vengano affidati a società private.
Nonostante la relazione vademecum del Parlamento europeo, che alla fine potrà esprimersi soltanto con un voto negativo o positivo sulla versione definitiva del Ttip, aumenta il livello di preoccupazione da parte dei cittadini europei. Questo nonostante la complessità, la scarsa presenza sui media, ma anche una certa generalizzazione blanda sui temi trattati rendano il Ttip ancora poco noto tra il grande pubblico. Soprattutto italiano, se è vero che sul trattato di libero scambio con gli Usa sono in pochi ad aver scritto, parlato o discusso in tv. Non è lo stesso nel resto d'Europa.
A Bruxelles le manifestazioni del movimento No Ttip si susseguono regolari, come quelle della settimana scorsa in occasione della riunione tra i 28 capi di Stato e di Governo Ue che si è conclusa con 110 fermi tra i manifestanti. Nella capitale belga è facile imbattersi in un cavallo di legno di dimensioni statuarie, il cosiddetto cavallo di Troia simbolo del movimento, che oggi conta migliaia di sostenitori anche in Germania. Il 10 ottobre scorso a Berlino sono scese in piazza circa 250mila persone per dire No al Ttip. Il movimento cittadino ha raccolto in meno di due anni oltre 3 milioni di firme nell'ambito della cosiddetta Iniziativa dei Cittadini europei. Strumento introdotto nel 2009 per permettere la partecipazione dei cittadini all'elaborazione di politiche comunitarie. Nel caso del Ttip, però, l’esecutivo Juncker ha già qualificato l’iniziativa dei cittadini inaccettabile. Come ha chiarito bene il Vice Presidente della Commissione Frans Timmermans: «L'iniziativa è uno strumento per consigliare la Commissione non per impedire che faccia il suo lavoro».
Oltre alla responsabile per il Commercio, la svedese (e liberale) Cecilia Malmstrom, è l'intera Commissione Juncker a essere in favore dei negoziati sul Ttip. Nei documenti pubblicati sul sito dell’esecutivo Ue la spiegazione dell'apertura europea all'area di libero scambio con gli Usa è resa in modo semplice: «Il Ttip favorirà gli scambi, la crescita economica, l'occupazione e l'espansione delle PMI europee». Punti sui quali, però, al momento in molti dubitano. E non soltanto in Europa, ma anche negli Usa.
Spiega bene la situazione Michelle Rivasi, l’eurodeputata francese dei Verdi: «Tra Stati Uniti e Unione europea esiste un approccio profondamente diverso su come regolamentare la salute o la sicurezza alimentare. Prevale l’autorizzazione fino a prova contraria, ovvero fin quando qualcosa non viene ritenuta pericolosa per la salute. In Europa è il contrario». Oltre agli ecologisti europei preoccupati per le conseguenze sull'ambiente, crescono anche le proeteste degli agricoltori europei e di alcuni sindacati. Lungi dall'essere portatore di nuovi posti di lavoro, il Ttip potrebbe rivelarsi la fine per i piccoli produttori europei. Nell’ottica di un accordo di libero scambio, inoltre, molte delle grandi aziende Ue potrebbero decidere di delocalizzare sedi e stabilimenti negli Usa con la conseguente perdita di posti di lavoro.
Uno scenario questo esattamente opposto a quello paventato dalla Commissione Ue che parla invece di una crescita per i 28 Paesi comunitari stimata in 120 miliardi di euro.
Per agricoltori e sindacati il Ttip potrebbe rivelarsi la fine per i piccoli produttori europei
Al coro di proteste delle Ong e delle associazioni di categoria Ue, si uniscono in queste ore i dubbi dei Democratici statunitensi. Hillary Clinton in testa, ma anche di altri gruppi di studiosi ed economisti. L'ex first lady, tra i candidati alle primarie democratiche, ha espresso dubbi sulla politica commerciale avviata da Obama in questi anni. Oltre ad aver avviato i negoziati sul Ttip, l'amministrazione Obama ha infatti approvato a inizio ottobre il Trattato per un'area di libero scambio con i Paesi dell'Oceano Pacifico (cosiddetto Tpp).
A non convincere Hillary Clinton e molti altri sono i benefici per i lavoratori Usa, ma anche per l’economia Usa in generale. Se con il Tpp le aziende Usa potrebbero ora essere tentate da delocalizzare in Paesi dove la manodopera è più bassa tagliando posti di lavoro in loco, con il Ttip potrebbero venir meno le garanzie sull’esclusività delle gare di appalto alle sole aziende statunitensi, con l’apertura a quelle europee e quindi lo spirito stesso del "Buy american" act.
Ma non basta. La debole ripresa economica Usa, dovuta quasi interamente ai bassi costi energetici in relazione alla caduta del prezzo del petrolio, ma soprattutto alla diffusione dello shale gas su scala nazionale. Proprio l’approdo dello shale gas in Europa, venduto da Obama come la ricetta per garantire l’indipendenza energetica europea, porterebbe a un aumento dei costi in patria. Allo stesso tempo, la delocalizzazione delle imprese Ue negli Usa, dove il costo del lavoro è più basso rispetto ai livelli comunitari, comporterebbe sì un aumento dell'occupazione negli Usa ma vedrebbe in calo l'export verso l’Ue. I 500 milioni di consumatori europei, infatti, privati delle grandi aziende che hanno scelto gli Usa, delle piccole produzioni agricole e industriali, si ritroverebbero a quel punto con un potere di acquisto decisamente inferiore agli standard attuali. Scenari questi che iniziano a preoccupare l’elite d’Oltreoceano, che dopo anni di crisi ha visto ripartire la prima economia al mondo.
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