Elogio del magico motore Diesel e della sua marmittona puzzolente
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Sono stupefatto della lotta tra germanofili e germanofobi, dell’aria d’importanza che si conferisce alla scoreggina della marmitta di Wolfsburg, contestata da un’agenzia verde istituita dal pallido Richard Nixon tanti anni fa
di Giuliano Ferrara | 26 Settembre 2015 ore 23:17
Ma con quale compunzione è trattato un volgare episodio commerciale di guerra tra la lobby del Diesel e quella dell’Ibrido. Sono stupefatto della lotta tra germanofili e germanofobi, dell’aria d’importanza che si conferisce alla scoreggina della marmitta di Wolfsburg, contestata da un’agenzia verde istituita dal pallido Richard Nixon tanti anni fa, tanto per fare, e adesso alla guida delle paure e delle idiosincrasie del mondo; sono sconcertato come quando sento che il volo Easyjet inquina l’atmosfera terrestre o che il livello dei mari ci minaccia dappresso, con tutti i Bouvard et Pécuchet di questo mondo a calcolare meticolosamente ciò di cui sanno niente più che l’idea vaga, corrente e farlocca di un benessere totale simile all’immortalità presunta. Il trucchetto del software malandrino non è commendevole, ma il lavoro, i modelli, la Mitbestimmung, la qualità totale, il valore d’uso di una bella Volkswagen per milioni di uomini e donne, dove mettiamo tutto questo?
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Va bene che al Cara di Mineo farei le mie vacanze, come mi suggerisce un amico intelligente dopo aver visitato il sito, e che il Mose è come le Piramidi, tranne che invece di seppellire una dinastia salva la Serenissima, ma per capire che il Diesel va benone, che non è morto nessuno di una sgassata, non c’è nemmeno bisogno di essere programmaticamente scorretti, non è necessario aver diretto le sezioni Fiat di Torino a vent’anni, non è indispensabile custodire nel cuore una cultura industrialista novecentesca, basta ragionare. Sono gli standard fissati ad essere cambiati, non i motori, che semmai sono sempre più igienici e sicuri, e se i software aziendali cercano di aggirare la tela di ragno delle regolette verdi hanno tutta la mia solidarietà di incredulo della decrescita, di ansioso spettatore della ripresa economica globale, di caritatevole ammiratore di un capitalismo che toglie dalla miseria un miliardo di persone in vent’anni, mai successo prima nella storia, con la semplice tecnica dei mercati aperti e globali.
Il Diesel è la metafora della maturità di un prodotto industriale decisivo come la macchina, das Auto. Anche se poi con il turbo è cambiato l’istinto aggressivo del motore, il Diesel è la calma, la sicurezza, il tempo lungo del consumo, e secondo i criteri di appena ieri andava benissimo. Ma ora che non si può fumare nei parchi, ora che non si può bere un bibitone gassato, ora che un matrimonio tradizionale con figli a carico è out, ora non va più bene. E chi l’ha detto? Un team di esperti, di scienziati? Ma quali, e come motivati, come formati, come istruiti, quanto indipendenti dai loro pregiudizi e dalla vogue della produzione automobilistica a impatto zero (qui si ride)? Io penso agli operai, ai tecnici, ai manager della produzione traente di decenni, se non di un secolo, penso alle spese in buona alimentazione proteica, allo sviluppo di farmacopea e medicina, al conforto e alla libertà dell’auto a basso costo, dell’auto povera, e ai lunghi anni in cui il gasolio era il fratellino disprezzato della rombante benzina, penso a tutto il cosiddetto progresso realizzato da quando non c’è più la carrozza a cavalli, e mi dispiace che il pensiero progressista di adesso voglia un mondo sempre più imbracato nel terrore del futuro, nei dati ridicoli sulla mortalità da sviluppo, nel finto odio della prosperità.
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