Caso Volkswagen, quali rischi corre l'industria italiana

In un'automobile ci sono 400 pezzi made in Italy. Che costano 1,5 miliardi l'anno. Sfornati da 2.500 aziende e 165 mila addetti. Ora l'export teme un contraccolpo.

di Davide Gangale | 25 Settembre 2015 Lettera43

Un volume d'affari superiore a 1,5 miliardi di euro all'anno, su un fatturato complessivo del settore verso la Germania che sfiora i 4 miliardi.

A tanto ammontano i ricavi delle aziende italiane che riforniscono Volkswagen di componenti per auto.

Tutto questo, naturalmente, prima del Dieselgate.

Le stime sono dell’Anfia, l’associazione che rappresenta la filiera dell’industria automobilistica italiana.

«Non abbiamo ancora elementi sufficienti per valutare l'impatto dello scandalo emissioni sull'indotto italiano», fanno sapere fonti interne.

«Il presidente al momento non ritiene opportuno rilasciare dichiarazioni».

UN TAGLIO CHE SPAVENTA. Il rischio è legato a un eventuale taglio della produzione da parte del gruppo tedesco. Un pericolo che, qualora il taglio si dovesse verificare, non riguarderebbe soltanto l'Italia, ma l'intero settore automobilistico europeo.

Mentre in Borsa crolla anche il titolo Bmw, lo scandalo si allarga e comincia ad assumere i contorni di una crisi sistemica. Tremano Seat e Skoda, Daimler cede il 4,4%, Fca il 6,1%, Peugeot il 3,67%.

INCHIESTA A TORINO. La procura di Torino ha aperto un'inchiesta per frode in commercio e disastro ambientale, al momento senza indagati, affidata al pm Raffaele Guariniello. Gli accertamenti riguarderanno i veicoli della casa tedesca che circolano in Italia, ma saranno estesi anche alle auto di altre marche. Il ministro dei Trasporti tedesco Alexander Dobrindt, d'altra parte, ha già detto che «ci sono vetture diesel con motori da 1.6 e 2.0 litri interessate dalla manomissione anche in Europa» e che le autorità tedesche «continueranno a lavorare a stretto contatto con Volkswagen per scoprire quali siano i veicoli interessati».

TERREMOTO NELL'ASSETTO. La prospettiva di una mega-multa comminata dalle autorità americane, lo spettro di una class action da parte dei consumatori, i costi del ritiro di milioni di auto 'truccate' e il danno d'immagine subito dal gruppo lasciano presagire un terremoto nell'assetto strategico della casa automobilistica, componentistica compresa.

La componentistica italiana: 2.500 aziende e 165 mila addetti

L'industria tedesca è legata a doppio filo a quelle italiane e francesi: basta pensare che in una Volkswagen ci sono circa 400 particolari, cioè pezzi, prodotti da aziende italiane.

Le esportazioni del settore dei componenti, nel 2014, hanno rappresentato circa il 5% di tutto l'export italiano, coinvolgendo 2.500 aziende e 165 mila addetti.

Al primo posto tra i Paesi di destinazione c'è proprio la Germania, con una quota significativa: il 20% sul totale.

Berlino è prima anche nella classifica dell'import per Paesi d'origine, con una quota del 26% sul totale, per un valore di circa 3 miliardi di euro.

POSSIBILI SOFFERENZE. Se le associazioni dei produttori non commentano, i sindacati mostrano grande cautela. «Al momento è difficile quantificare gli effetti dello scandalo Volkswagen sull'indotto italiano», dice a Lettera43.it Federico Bellono, segretario provinciale della Fiom di Torino.

«Tutto dipende da cosa deciderà di fare Volkswagen. Di sicuro, però, se ci saranno dei territori che soffriranno, saranno il Piemonte e l'Emilia Romagna».

Negli ultimi anni, infatti, molte aziende produttrici di componenti per automibili con impianti nelle due regioni «hanno cercato di rendersi autonome da Fiat rivolgendosi soprattutto ai tedeschi».

Un processo di internazionalizzazione in cui «Volkswagen e Audi hanno avuto la parte del leone».

ALTRI MARCHI IN PERICOLO. Secondo Bellono, tuttavia, a correre i rischi maggiori sono i marchi «entrati direttamente in Volkswagen: Ducati, Lamborghini e Italdesign».

Gioielli italiani le cui attività, oggi, «sono rivolte esclusivamente al gruppo Volkswagen», che ne detiene la proprietà al 100%.

Categoria Economia

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