È solo inutile e fuorviante la polemica sui tagli lineari della spesa pubblica
- Dettagli
- Categoria: Economia
“Quando si tratta di maneggiare i soldi di tutti, le aree verdi non bastano mai. Ma, facendo così, i deficit pubblici non si riducono certo»
di Pierluigi Magnaschi, Italiaoggi, 4.8.2015
Quando il governo (non solo questo di Renzi ma tutti quelli che lo hanno preceduto) vuol tagliare la spesa pubblica, tutti insorgono dicendo: «Ha proposto dei tagli lineari!». Come se i tagli lineari nella spesa pubblica fossero il male assoluto e non l'ultima, e inevitabile, ratio dopo aver tentato altre vie per cercare di ridurre l'emorragia di capitali pubblici intercettati da coloro che vogliono sprecarli o goderne indebitamente.
Che cosa sono i tagli lineari? Essi sono i tagli in percentuale della spesa fatta l'anno precedente da un centro di spesa, sia esso ministero o ente locale. Hai speso mille? L'anno prossimo devi, poniamo, tagliare il 10%. L'anno prossimo quindi non potrai più disporre di mille ma di novecento. A te, ministero, ente locale o centro di spesa pubblica, trovare quali sono le spese da ridurre e di quanto, voce per voce, è opportuno ridurle.
Il taglio lineare quindi parte da un'esigenza complessiva, macro, direbbero gli inutilmente complicati (e cioè la quantificata riduzione complessiva della spesa pubblica), ma non arriva a indicare, ai centri di spesa, come operare per ridurre tale spesa. Se lo facesse violerebbe ancor di più la loro autonomia. È quindi una misura ferma sull'obiettivo (la riduzione della spesa) ma aperta sulla metodica per raggiungerlo, che può essere più facilmente escogitata dai ministeri o dagli enti che, conoscendo il loro badget e le sue destinazioni, possono meglio decidere le voci da sacrificare sull'altare ineludibile, questo sì, del taglio percentuale della spesa pubblica, programmato a livello aggregato.
Il can can sui tagli lineari quindi è fatto solo per tenere aperto il dibattito senza aver argomenti in mano per sostenerlo. Non avendo argomenti, gli adoratori della spesa pubblica à gogo cercano uno slogan passepartout per tenere sveglie le emozioni degli associati o dell'opinione pubblica. «Ci vogliono imporre i tagli lineari!», urlano perciò inferociti gli oppositori di qualsiasi efficienza, facendo gonfiare le loro vene giugulari. Chi ha suggerito lo slogan sa benissimo che è una presa un giro, una bufala, come si dice in gergo mediatico. Chi invece lo ripete davanti a ogni microfono, anche il meno significativo (tutto fa brodo), può invece non conoscere cosa ci stia dietro questa indignazione senza motivo.
Il governo, in sintesi, impone dei tagli lineari che, nelle mani delle varie amministrazioni, possono (e debbono) diventare tagli selettivi. Miranti cioè a tagliare le spese tagliabili e a risparmiare le spese essenziali. Ma i ministeri e le amministrazioni che dovrebbero tagliare il loro budget (questo è il punto) non hanno assolutamente intenzione di farlo, per non creare malumori fra le loro clientele. L'aver seguito la vulgata del decentramento (che si è conclusa con la pazzia del titolo Quinto della Costituzione attuata dal centrosinistra con una maggioranza di una manciata di voti) ha ridotto il Paese a un coriandolo di spreconi legittimati a farlo.
Decentrare la spesa significa in pratica, in Italia (e in particolare, purtroppo, nei paesi latini), alimentare lo spreco pubblico. Il sindaco di centrosinistra di un comune importante mi disse, spiegandomi come stanno le cose: «Se viene privatizzata una grossa caserma, magari poco prima ceduta dal Demanio al Comune, l'opinione pubblica locale, alla quale non riesco a oppormi, perché io o i miei assessori la incontriamo il mattino dopo al bar, non consente che essa sia ceduta a una società che, pagandocela quanto vale, cioè molto bene, ci farà sopra un albergo, ma dobbiamo farne un'area verde anche se la caserma è già vicina a un parco oppure, come in un mio caso, l'area militare confina addirittura con la campagna. Quando si tratta di maneggiare i soldi di tutti, le aree verdi non bastano mai. Ma, facendo così, i deficit pubblici non si riducono certo». Queste decisioni di privatizzazione di beni demaniali quindi sono più attuabili se decise a livello statale.
Ma sarà difficile (anche se è sempre meno eludibile) fare marcia indietro. Renzi non è un chirurgo, come si era presentato, ma un imbellettatore volonteroso. Più che il bisturi, usa le parole. Non si rende conto (e chi lo ostacola, ancor meno) che il Paese è sull'orlo di un baratro perché si trova, in base alle cifre di bilancio, come se fosse in una guerra. E in una guerra non si può usare l'aspirina ma bisogna ricorrere a misure eccezionali. Invece, in Italia, non si riescono nemmeno ad applicare i costi standard, cinque anni dopo aver approvato la legge che li prevede esplicitamente («le leggi ci sono ma non chi pon man ad esse», si diceva nel Seicento). In basi ai costi standard, partendo da quanto speso nelle regioni virtuose, per acquistare, poniamo, una siringa, non dovrebbe essere consentito a un'altra regione di pagarla il triplo o il quadruplo. Un risparmio di questo tipo non ridurrebbe la qualità delle cure erogate ma taglierebbe solo le unghie a coloro che fanno, su questa spesa, delle creste invereconde. I costi standard sono applicabili con grande facilità. Basta solo volerlo. Ma troppe Regioni non vogliono applicarli. Verrebbe infatti meno una fonte delinquenziale di reddito e di pressione.
Pierluigi Magnaschi
Categoria Economia