Esclusiva: il piano segreto dell’Italia in caso di dramma greco
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Non succede, ma se succede? Memorandum e Omt. Così Draghi e Renzi preparano le mosse anti contagio
di Marco Valerio Lo Prete | 20 Giugno 2015 ore 06:18 Foglio
Roma. La palla oggi sarà pure in campo greco, come ripetono sempre più di frequente i leader dell’Eurozona, ma poi quella stessa palla potrebbe rimbalzare a destra e a manca, nessuno sa precisamente dove. Non succede, ma se succede? Tra Palazzo Chigi, ministero dell’Economia e Banca d’Italia, in queste ore ci si attrezza per non essere colti impreparati in caso di dramma greco. Secondo la ricostruzione del Foglio, un piano d’emergenza c’è, anche se non assomiglia (ancora) a un libretto di istruzioni pronte per l’uso. Il piano è pure in lingua italiana, ma per essere messo in atto ha bisogno del sostegno di una capitale straniera: Francoforte, la sede della Banca centrale europea presieduta da Mario Draghi. E se alla fine questo piano anti contagio dovesse risultare necessario, perfino il governo Renzi, il più politico di tutti nell’Italia post Monti, dovrà scendere a patti con una vistosa stampella tecnocratica. Ma procediamo con ordine.
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Nel triangolo tra Palazzo Chigi (Matteo Renzi), Via XX Settembre (Pier Carlo Padoan) e Via Nazionale (Ignazio Visco), da qualche giorno sono essenzialmente due le metodologie utilizzate per seguire gli sviluppi della crisi ellenica e le sue potenziali ricadute sulla moneta unica e soprattutto sul nostro paese. La prima metodologia, quella “standard”, consiste nel mettere in fila i prossimi appuntamenti clou dei colloqui tra Atene e i suoi creditori internazionali. Si comincia lunedì con un vertice convocato per discutere “ai massimi livelli politici”. Poi c’è il fatidico 30 giugno, data in cui scade il programma di aiuti internazionali della Troika alla Grecia, e la stessa data in cui Atene deve rimborsare 1,6 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale. Ma l’impossibilità di pagare i creditori internazionali, e progressivamente anche gli stipendi pubblici e tutto il resto, diventerà conclamata solo il prossimo 20 luglio, giorno in cui la Grecia deve rimborsare 3,5 miliardi alla Bce. Fino a lunedì prossimo, intanto, la stessa Bce ha deciso ieri di garantire ossigeno alle banche elleniche, investite da una fuga di depositi. E’ in arrivo altra liquidità d’emergenza (Ela).
Finite le date certe da segnare sul calendario e la liquidità d’emergenza in circolazione, il piano dovrebbe per forza di cose mutare. E subire una biforcazione. L’ipotesi numero uno è quella del “moscerino”. Il peso specifico della Grecia rispetto all’Eurozona è piccolo, piccolissimo. Che ci sia il default, o la Grexit, o default più Grexit insieme, non ci sarà nessun effetto-contagio catastrofico. Anche perché l’Europa, rispetto al 2010, è diventata nel frattempo molto più robusta: Fondi salva stato, Unione bancaria, politica monetaria espansiva, ripresa lieve ma in corso. E’ la linea ribadita ancora ieri in pubblico da Padoan: “Il rischio specifico dell’Italia in caso di Grexit è contenuto, non siamo nel 2012, in questi anni ci sono stati enormi progressi nella stabilità finanziaria”. Renzi è d’accordo. Anche perché, in cuor suo, teme l’ipotesi numero due. Eccola: altro che “moscerino”, la Grecia è piccola ma finora ci siamo raccontati che l’euro era irreversibile. Se Atene fallisse o uscisse dalla moneta unica, il precedente non sarebbe da poco. I mercati saranno pure razionali, ma come insegna l’esperienza di questi anni, a volte impiegano del tempo per ragionare. “Il panico si alimenta di self-fulfilling prophecies”, ammette un economista di rango in contatto con il premier. Se contagio sarà, potrà essere di natura finanziaria, e allora assomiglierà a un congelamento dei mercati in stile America 2007 (spread elevati sull’interbancario, difficile accesso alla liquidità). Oppure sarà un contagio ancora più temibile, quello sul rischio sovrano. Gli investitori cioè inizieranno di nuovo a porsi la domanda: chi può fallire dopo la Grecia? Seguiranno i test, cioè le vendite di titoli. Ieri il rendimento dei titoli di stato decennali italiani è salito ancora un po’, a 2,3 per cento; lo spread con il Bund tedesco è a 154 punti base; il 2011 è lontanissimo, ma il differenziale è già più elevato di qualche mese fa.
L’Italia è fuori dalla crisi, ma nessuno si sente di escludere in ogni caso che possa essere una candidata al pesante “test” dei mercati. Pure Portogallo e Irlanda sono in prima fila. Ecco che allora, senza la discesa in campo di Draghi, non ci sarà cordone sanitario che tenga. Il Quantitative easing (acquisto di titoli di stato) è oggi in funzione, ma se il costo del debito italiano ricominciasse a salire sotto i colpi della speculazione, il Qe non basterebbe più. Perché la Bce deve acquistare titoli secondo proporzioni stabilite tra paesi; e perché il rating dei titoli dev’essere almeno “BBB-”, cioè l’odierno rating italiano. E se dopo la caduta di Atene si innescasse una crisi di fiducia sul nostro debito? E se fossimo declassati? Quale diventerebbe il piano d’emergenza nel caso che il Qe non bastasse o non fosse più applicabile? L’interpretazione è univoca ed è condivisa a Palazzo Chigi e a Francoforte: “Ci sarebbe solo l’Omt di Draghi”. Il che significa che solo con le “Outright monetary transactions” (Omt) – ovvero il piano di acquisti di titoli di stato inventato nel 2012 da Draghi, finora mai utilizzato e da poco riconosciuto legittimo anche dalla Corte di Giustizia Europea – la Bce potrebbe continuare ad acquistare bond italiani in maniera praticamente illimitata, quale che sia il loro rating. Tuttavia, a differenza del Qe, per avere accesso all’Omt occorre che un paese accetti delle “condizionalità” su rigore e riforme, da discutere con Bce e Fmi. Un memorandum. Una nuova lettera vincolante da Francoforte in stile 2011. Che avrebbe il seguente significato: si salva il paese ma non si salva il paese dal commissariamento. Renzi lo sa bene, Draghi pure, ed entrambi – per ragioni diverse – sperano di non dover arrivare a tanto.
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