Il caso Uber dimostra che la “concorrenza sleale” migliora la vita nelle città
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Per certi versi l’ordinanza del Tribunale di Milano che ha bandito UberPop dal territorio nazionale ricorda la sentenza della Corte costituzionale sull’indicizzazione delle pensioni.
di Luciano Capone | 27 Maggio 2015 ore 19:53 Foglio di domani
Per certi versi l’ordinanza del Tribunale di Milano che ha bandito UberPop dal territorio nazionale ricorda la sentenza della Corte costituzionale sull’indicizzazione delle pensioni. Il giudice ha stabilito che l’applicazione che permette via smartphone di prenotare un passaggio con un normale autista senza licenza faccia “concorrenza sleale” ai tassisti e quindi va proibita. Ma, come avvenuto per le pensioni, nella sentenza non c’è alcuna analisi quantitativa e qualitativa della concorrenza: non c’è un’analisi del mercato rilevante, dei prezzi, dei costi e dei tassi di sostituibilità da parte dei clienti. Insomma mancano i dati che dimostrano che UberPop e i taxi hanno lo stesso mercato. Forse anche Uber, come il governo sulle pensioni, non si è difesa benissimo.
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In realtà proprio Expo, per la sua natura transitoria, è un evento in cui la sharing economy può rispondere in maniera flessibile a picchi di domanda temporanei integrando un’offerta inadeguata, come dimostrano le code sterminate per trovare un taxi nelle grandi città quando ci sono grandi eventi. E infatti da quando è iniziato Expo le corse con Uber sono aumentate del 119 per cento rispetto ai mesi scorsi, anche grazie ai clienti stranieri in visita in città che apprezzano facilità e prevedibilità del servizio. Per nutrire il pianeta le persone hanno anche bisogno di spostarsi e la “concorrenza sleale” è quella che rende difficile e costoso poterlo fare.
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