Nuovo risiko energetico. Il gasdotto russo che dalla Turchia mira all’Europa scatena gran lotte
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diplomatiche. L’intreccio italiano. L’intento russo è chiaro: rendere il gas russo sempre più importante in Europa. Mosca, inoltre, vuole affrancare il trasporto del gas dal gasdotto che passa per l’ostile Ucraina.
di Redazione | 19 Maggio 2015 ore 10:59 Foglio
Roma. La Turchia con i piedi in due scarpe, la Grecia corteggiata e contesa, gli stati dei Balcani in gran fermento. L’annuncio questo mese dell’accordo tra il governo turco e Gazprom, la compagnia di stato russa, per la costruzione di un gasdotto che collegherà il mar Nero alle coste turche, sta già creando giochi complessi di influenze e sommovimenti geopolitici. Turkish Stream, questo il nome del gasdotto russo-turco, è l’infrastruttura che il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato ad Ankara lo scorso dicembre dopo il fallimento del progetto South Stream e che nella visione del Cremlino dovrebbe rifornire la Turchia e, in un secondo momento, l’Europa, di 63 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Dieci giorni fa Gazprom e la Turchia hanno annunciato di aver raggiunto un accordo, i tubi partiranno dalla stazione gassifera di Russkaya sulle coste del mar Nero e passeranno sott’acqua fino ad arrivare alla cittadina turca di Kiyiköy, sopra Istanbul. A posarli sarà l’italiana Saipem, forte di un contratto già firmato al tempo di South Stream, almeno per la prima linea del progetto. Turkish Stream per ora si ferma in Turchia, ma da lì Gazprom vorrebbe trovare una via per l’Europa, e anche se per ora nessun accordo è stato siglato (Gazprom, a causa delle regole dell’Ue, non può costruire gasdotti in territorio europeo e usarli in maniera esclusiva) l’intento russo è chiaro: rendere il gas russo sempre più importante in Europa. Mosca, inoltre, vuole affrancare il trasporto del gas dal gasdotto che passa per l’ostile Ucraina.
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Ma un altro gasdotto vuole passare per il territorio turco per portare il gas in Europa, questo parte dai grandi campi gassiferi di Shah Deniz, in Azerbaigian, e arriva via mare a San Foca, in Puglia, passando via terra per la Turchia e per la Grecia. E’ il Southern gas corridor (etichetta che designa un insieme di progetti, tra cui il Tap), sostenuto dai governi occidentali per trasportare circa 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno, che presto dovrebbero raddoppiare. Anche qui l’intento è chiaro: rendere il gas russo sempre meno importante in Europa. L’espansione dei due progetti rischia di mettere il progetto russo e quello occidentale in competizione ma, come scrive Keith Johnson su Foreign Policy, il fabbisogno europeo non giustifica la costruzione di due nuovi grandi gasdotti. Così le diplomazie hanno iniziato a muoversi.
In Turchia, il governo neo ottomano del presidente Recep Tayyip Erdogan, alleato sempre più riluttante della Nato, ha avuto gioco facile: Ergodan vuole trasformare il paese in un hub energetico, e così a maggio ha firmato con Gazprom per Turkish Stream e a marzo ha firmato anche per la tranche turca del Southern gas corridor, il Tanap. Ma è l’ingresso in Europa il vero problema. Da settimane Putin corteggia la Grecia, possibile porta d’entrata di Turkish Stream e parte del percorso pianificato del Southern gas corridor. Il sette maggio Putin e il premier greco Alexis Tsipras si sono sentiti per telefono, e il giorno dopo è apparso ad Atene Amos J. Hochstein, inviato del dipartimento di stato americano, con un messaggio chiaro: non accettate proposte dai russi, o saranno guai. Ma nel fine settimana il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha detto che allo stesso modo della Grecia anche “Macedonia, Serbia, Ungheria” e altri paesi sono interessati a un’estensione di Turkish Stream.
L’Italia è uno dei punti di arrivo naturali di entrambi i progetti concorrenti, ma per ora “il governo si mantiene in posizione equidistante”, dice al Foglio Matteo Verda, ricercatore dell’Osservatorio energia dell’Ispi. “Il potenziamento del Tap risponderà all’interesse nazionale italiano solo se i 10 miliardi di metri cubi di raddoppiamento del progetto dovessero passare per l’Italia”. Invece il potenziamento del Turkish stream, e un suo eventuale passaggio in Italia, benché ipotesi ancora remota, è potenzialmente molto favorevole per Roma. “Turkish Stream a pieno regime dovrebbe consentire all’Italia di sostituire l’Ucraina come paese di transito, e questo per l’Italia sarebbe perfetto”, dice Verda. “Dei tre grandi clienti di Gazprom, Germania Turchia e Italia, presto saremo gli unici a rifornirci di gas russo attraverso l’inaffidabile gasdotto ucraino”. Un’estensione di Turkish stream potrebbe inoltre significare nuovi contratti per Saipem.
Resta però il problema diplomatico, con gli alleati europei e americani che chiedono di diversificare il nostro approvvigionamento energetico e diventare meno vulnerabili a possibili ricatti politici di Mosca. L’Italia per ora rimarrà in equilibrio.
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