Il debito è abbastanza grande da badare a se stesso. I dati sine ira ac studio
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Si continua dunque a mettere in rapporto il debito pubblico con il prodotto nazionale, o pil
di Giorgio Arfaras | 05 Maggio 2015 ore 17:08 Foglio
La Commissione europea, nelle sue previsioni di primavera, ha confermato che l’economia italia, “sostenuta da fattori esterni positivi, si attende che torni a crescere nel 2015; e la ripresa si rafforzerà nel 2016”. Mentre l’andamento dei prezzi resterà stabile nell’anno in corso, l’inflazione dovrebbe salire fino all’1,8 per cento nel 2016. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, intervenendo in un’audizione in Parlamento, ha detto: le stime macroeconomiche e di crescita diffuse da Bruxelles “sono in linea con quelle contenute nel Documento di economia e finanza e questo ci rassicura”. Il riferimento è innanzitutto alle stime su crescita e conti pubblici. Quest’anno il pil, secondo Bruxelles, dovrebbe crescere in Italia dello 0,6 per cento; l’anno prossimo dell’1,4 per cento. Il rapporto deficit/pil, al 2,6 per cento quest’anno, dovrebbe scendere al 2 per cento l’anno prossimo. Il rapporto debito pubblico/pil toccherà il suo picco nel 2015 (133,1 per cento) per poi iniziare lentamente a calare nel 2016 (130,6).
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Da questi ultimi dati, può scaturire qualche riflessione meno legata alla contingenza. Si continua dunque a mettere in rapporto il debito pubblico con il prodotto nazionale, o pil. Nel caso dell’Italia si ha un rapporto del 130 e passa per cento. Troppo. Non va bene. Fermi un momento, diamoci alla filologia. Il debito pubblico è il cumulato di molti anni di deficit pubblici (ossia, spese inclusive degli interessi maggiori delle entrate) finanziati con l’emissione di obbligazioni. Non è specificata la sua unità di tempo. Il pil è la variazione dei beni e servizi in un anno. La sua unità di tempo è specificata.
Abbiamo allora uno stock (il debito) indefinito temporalmente e un flusso (il pil) definito temporalmente. Stiamo misurando le cose in modo non omogeneo. Il debito italiano non scade tutto subito; una parte scade subito, una parte l’anno prossimo, eccetera. Se misuriamo il debito in questo modo, abbiamo un debito che pesa sul pil ogni anno, per una quota – quella che va in scadenza – del suo ammontare. Stiamo usando lo stesso metro temporale: debito in un anno, pil di un anno. Ergo, abbiamo che il debito annuo da rinnovare è una frazione di quello che abbiamo tutti in mente, ed è pari nel 2015 e 2016 al 20 per cento del pil circa. Con la stessa unità temporale il rapporto debito/pil dell’Italia nel 2015 passa dal 133,8 per cento al 21,4 per cento.
Mettere in rapporto uno stock e un flusso senza precisarne la dimensione temporale è ben strana cosa. Andate a dirlo a un’impresa indebitata. Vi dirà che il debito si paga nel tempo. Nel caso del debito pubblico, invece, è cosa ormai acquisita che la sua misurazione sia giusta, anche se esiste una disomogeneità nella sua misura temporale. Si mettono insieme dei fatti disomogenei, e, a furia di misurarli in un certo modo, i fatti da controvertibili diventano incontrovertibili. Nietzsche direbbe che non esistono fatti ma solo interpretazioni.
Resta la domanda: perché ciò accade? Vi sono quelli, chiamiamoli “i liberisti”, che pensano che la spesa pubblica non possa che crescere, perché i politici debbono farsi eleggere. Dei numeri che spaventano sono utili alla causa. Sono “i liberisti” che costruiscono i contatori del debito pubblico. Vi sono poi quelli, chiamiamoli “i keynesiani”, che pensano che la spesa pubblica sia utile al controllo del ciclo e alla diffusione della giustizia sociale. E’ da vedere se questi ultimi sono davvero i sacerdoti di una causa nobile. Dei numeri che non spaventano, come quelli qui mostrati, sono utili alla causa.
Hanno entrambi ragione. Si tratta di un argomento molto controverso. Chi scrive pensa che entrambi i punti di vista abbiano solide ragioni e perciò crede – ognuno ha i propri modelli, diceva Woody Allen, il mio è Ponzio Pilato – che vadano “miscelati”.
Passiamo alla vicenda della Grecia. Il suo enorme debito pubblico – detenuto per l’ottanta per cento dalla Troika – costa poco, circa il due per cento del pil, la metà di quanto costi quello italiano e pari a quanto costa quello tedesco. Perciò, se il debito è in gran parte delle istituzioni e costa così poco, qual è il problema? La sua scadenza. Per quanto il grosso scada nel lungo termine, si ha una concentrazione delle scadenze residue nel breve termine. Laddove il debito in scadenza mensile è qualche volta pari alla metà del reddito nazionale mensile. Conclusione, non sono il volume e il costo del debito il problema della Grecia ma, la concentrazione delle scadenze, che sono enormi in rapporto alla dimensione della sua economia