La crociata contro Stellantis. Tavares ha ragione ma i politici preferiscono crocifiggerlo anziché trovare soluzioni: perché produrre auto elettriche costa di più

L’enorme problema dei costi di produzione in Italia è stato per troppi anni ignorato dalla politica. “In Italia il costo dell’energia è molto elevato, per esempio è doppio rispetto a quello della Spagna

Angelo Vaccariello 15 Ottobre 2024 alle 14:10

Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, è stato la perfetta vittima da social. Non che non ci abbia messo del suo, ma la sua audizione alle Commissioni Attività Produttive di Camera e Senato di venerdì 11 ottobre ha dato il via ad un attacco concentrico da parte della politica all’ex gruppo Fiat di Torino. Ricco, a guida di un impero industriale in ritirata in Italia, Tavares non ha fatto sconti alla politica. L’ha accusata di aver accettato supinamente le nuove regole del green deal; ha spiegato a deputati e senatori che le auto elettriche costano “il 40 per cento in più” e che Stellantis deve fare in modo di recuperare i costi per poter vendere ad un prezzo accessibile.

Tradotto in parole povere: servono incentivi per stimolare gli italiani a passare all’elettrico. Apriti cielo. È partita la canea social guidata dai leader politici: da destra a sinistra non hanno risparmiato nulla al numero uno di Stellantis, rinfacciandogli una certa arroganza nel chiedere soldi e ricordando quanto la Fiat in passato abbia socializzato le perdite e privatizzato gli utili.

Costi: l’energia in Italia costa il doppio della Spagna

Un elemento sul quale nessuno si è soffermato, tranne per la verità il deputato Luigi Marattin ex Italia Viva, è l’affermazione centrale che ha fatto Tavares: “In Italia il costo dell’energia è molto elevato, per esempio è doppio rispetto a quello della Spagna, e questo è uno svantaggio notevole. Non so perché succeda, ma è un fattore che dobbiamo considerare”.

Produrre in Italia, dice tra le righe il Ceo di Stellantis, non è conveniente.

Su questo elemento nessuno possa accusarlo. L’enorme problema dei costi di produzione in Italia è stato per troppi anni ignorato dalla politica. In un mondo industriale globalizzato, in cui si possono spostare stabilimenti dall’Europa all’Estremo Oriente nel giro di poche settimane, il nostro paese è stato “distratto” rispetto ad una strategia di lungo periodo.

Il primo grande vulnus per chi produce in Italia è il costo energetico. Basta consultare una qualsiasi analisi dei costi, da Confindustria al Gestore dei Mercati energetici, per capire come nel nostro paese si paghi, in media, il 30 per cento in più rispetto agli altri paesi Europei. In Spagna, ad esempio, il costo dell’energia è pari a circa il 68 per cento in meno che in Italia; che in Germania la differenza è un meno 29 per cento a favore dei tedeschi e in Francia addirittura meno 70 per cento (i dati sono riferiti alle quotazioni di maggio 2024). Significativo è il caso spagnolo. Negli ultimi trent’anni, infatti, Madrid ha attuato una seria politica di energie rinnovabili facendo cadere il prezzo cosa che, ad esempio, non è successa in Italia.

Si capisce bene, dunque, che avendo la possibilità di risparmiare un’azienda preferisca insediarsi in un paese dove ha una bolletta energetica più bassa.

Sistema delle Pmi non più modello vincente

Un altro problema atavico che l’Italia si porta dietro è il sistema delle piccole e medie imprese

Se esse sono state la spina dorsale per il boom economico degli anni Sessanta, in un mondo globalizzato non rappresentano più un modello vincente. In modo particolare, se analizziamo l’industria in senso ampio si nota come il sistema dell’indotto sia costituito da aziende piccole se non piccolissime. Il più grande svantaggio di questo sistema è l’impossibilità di abbattere i costi.

Le aziende di grandi dimensioni riescono a realizzare economie di scala, quindi a far calare il costo medio per prodotto. Quelle piccole, invece, non ci riescono se non producendo in perdita o chiedendo incentivi allo Stato. Si capisce bene, allora, l’affermazione di Tavares quando dice che “realizzare una auto elettrica costa il 40 per cento in più”. Parte di quella cifra sta proprio nell’indotto sul quale non si può intervenire se non aiutando le aziende a crescere mettendosi insieme. Ancora una volta: perché produrre in Italia se in Cina si può con costi enormemente più bassi? Anche su questo, però, la politica è latitante da trent’anni.

Risorse umane

Sebbene il costo del lavoro in Italia sia più basso che in Germania o Francia, il problema del nostro paese è strettamente legato alle relazioni industriali.

Da tempo, infatti, si registra un crollo della produttività, ma imprenditori e sindacati non riescono a trovare la quadra per farla aumentare. Se a ciò si aggiunge la selva di contratti e le sentenze contradditorie della giurisprudenza del lavoro, si capisce bene perché molte aziende evitino il Belpaese come Superman evita la criptonite. Senza contare che l’inefficienza del nostro sistema giudiziario “scoraggia gli investimenti, aumenta il costo del credito e riduce il tasso di occupazione e di partecipazione al mercato del lavoro” (Osservatorio dei conti pubblici). L’Italia è al 122esimo posto su 190 per la categoria “Tempo e costi delle controversie”.

Incertezza fiscale

A quanto già detto, bisogna aggiungere il problema del sistema fiscale. Oltre ad avere uno dei sistemi più cari in Occidente, pagare le imposte e tasse in Italia non è mai facile.

La selva di leggi, decreti, circolari, Faq e chi più ne ha più ne metta rende il nostro sistema tra i più complicati al mondo.

Tanto che, pur cercando di pagare tutto, nessuno mai è al sicuro di quanto deve al Fisco e ci si può trovare invischiati in un processo tributario anche se si è sempre agito in buona fede. Perché dunque investire in un paese del genere? Perché un imprenditore dovrebbe scegliere l’Italia quando tutto è decisamente più complicato? A queste domande dovrebbe rispondere chi sta in Parlamento. Ma si sa: un post sui social dà soddisfazioni più rapide.

Commenti   

#1 walter 2024-10-15 13:45
Antonella Bruno nuova managing director in ItaliaStellantis, chi è Antonella Bruno
Nel mentre, Antonella Bruno è stata nominata managing director di Stellantis in Italia e riporterà direttamente a Jean-Philippe Imparato, Chief operating officer enlarged Europe di Stellantis. Sarà responsabile delle attività italiane per i 10 marchi delle autovetture (Abarth, Alfa Romeo, Citroen, Ds Automobiles, Fiat, Jeep, Lancia, Opel, Peugeot e Leapmotor) e per i 4 dei veicoli commerciali (Citroen, Fiat Professional, Opel e Peugeot).

“Antonella Bruno ha molti anni di esperienza nel settore dell’automobile ed in particolare nel nostro gruppo – ha affermato Jean-Philippe Imparato – e la sua profonda conoscenza del mercato e della rete con cui ha già un rapporto di fiducia, saranno importanti per le sfide che dovrà affrontare e un fattore chiave per il successo dei marchi Stellantis in Italia che, per storia e qualità, non hanno rivali”.


Laureata in Economia e commercio e con una passione per le quattro ruote trasmessa dal padre, Antonella Bruno inizia a lavorare nel 1998 in Ford, dove ha ricoperto nel corso degli anni molteplici ruoli da zone manager a responsabile prodotto, da pricing a communication e media. A fine 2007 entra in Fiat come Product Director di Croma e Bravo per poi passare ad occuparsi del lancio di Fiat Freemont nel 2011. Da settembre 2011 entra in Lancia come responsabile marketing per poi diventare l’anno successivo capo del mercato per l’Italia e successivamente responsabile del Brand per la regione Emea. Successivamente dirige a livello europeo l’attività di Network Development e Customer Experience e, nel giugno 2020, assume l’incarico di responsabile per l’Europa del Brand Jeep che poi dopo un anno lascia per assumere lo stesso ruolo europeo in Peugeot fino ad oggi. firstonline.info

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