Son tornate le cassandre, Nouriel Roubini e Brunello Rosa
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Vedono sciagure e cataclismi, ma gli economisti che predicono il futuro non hanno mai avuto grande fortuna
di Stefano Cingolani 24 Giugno 2019www.ilfoglio.it
Nouriel Roubini, docente alla New York University ed economista molto influente, prevede per il prossimo anno ancora crisi e recessione (Foto LaPresse)
Tremate, tremate le cassandre son tornate. Guidano il carosello magico Nouriel Roubini e Brunello Rosa: da tempo avvertono che si sta preparando un’altra tempesta perfetta e nel 2020 verrà il fatidico momento in cui si affronteranno le forze del male e del bene. A dieci anni dal fallimento della Lehman Brothers, nel settembre scorso, hanno messo insieme un elenco di dieci punti di crisi e adesso dicono che nove sono ancora attuali, oggi più di prima. Non è detto che sia così e molte cose stanno cambiando. Nulla è scritto, nulla è nettamente prevedibile, troppe sono le variabili in corso, soprattutto quando la politica prende il sopravvento e la volontà sfida la realtà.
Tuttavia, Roubini e Rosa non sono certo gli unici a gridare al lupo. Un allarme è arrivato anche da Mario Draghi che si è distinto in questi otto anni per aver saputo domare uccelli rapaci e iene affamate ogni volta che s’avventavano sul dolorante corpaccione dell’euro. Jerome Powell, presidente (forse ancora per poco) della Federal Reserve, dice che la crescita è a rischio anche negli Stati Uniti. L’analista e futurologo Simon Ward guarda all’allineamento dei cicli economici come gli astrologi guardano ai pianeti e dice che stiamo entrando in una fase lunga di rallentamento che porterà a una nuova grande crisi, anche se non prima del 2027. Ultimo, ma non certo per importanza, ci si è messo anche Ciriaco De Mita che alla bell’età di 91 anni profetizza: “In Italia sta per arrivare un’altra catastrofe, vedo troppi segnali di un diluvio imminente”. Quali sono le inarrestabili spinte che ci conducono verso la pianura di Armageddon? Sono parecchie e di diversa portata, ma tra tutte la più pericolosa è il protezionismo nazionalista. Se dieci anni fa abbiamo assistito alla crisi da globalizzazione, nel prossimo futuro avremo la crisi da populismo.
Roubini si è fatto la fama di aver previsto il grande crack del 2007-2008. Poi per la verità non ci ha più azzeccato. Gli economisti che vogliono fare gli aruspici, del resto, non hanno grande fortuna. Ha fatto scuola la candida domanda rivolta allora dalla regina Elisabetta alla creme degli studiosi britannici: ma come avete potuto non vedere e non capire? Rosa è meno noto in Italia, ma non all’estero. Ha fondato la società di ricerche R&R, Roubini & Rosa Associates ed è lui che la gestisce. Meno esposto del suo collega ha cominciato a essere ospite delle reti televisive italiane ed è entrato nel circo dei guru mediatico-economici anche nel suo paese d’origine. Nato a Firenze, si è perfezionato a Londra dove è rimasto e vive ormai come cittadino britannico. Tre anni fa, ospite di Limes ha schematizzato le tre fasi che portano a una nuova guerra mondiale: la prima è la sfida per le risorse, poi quella per la supremazia tecnologica, infine la resa dei conti militare. Adesso siamo arrivati al secondo passo con lo scontro aperto tra Stati Uniti e Cina, ma anche con l’irruzione della Russia abilissima finora nella fase distruttiva e pronta a battersi sul fronte più ampio, se non proprio testa a testa con l’America come ha minacciato Vladimir Putin. Altro che gufi, altro che cassandre, qui siamo in pieno war game.
Se dieci anni fa abbiamo assistito alla crisi da globalizzazione, nel prossimo futuro avremo la crisi da populismo. Segnali paurosi
Donald Trumpdice che nessuno ha fatto meglio di lui dopo George Washington (chissà se crede davvero alle sue iperboliche sparate), per Roubini & Rosa invece, proprio lui è il primo fattore di crisi, cominciando dall’economia interna non solo da quella estera sulla quale The Donald getta sempre la responsabilità di tutti i guai. La fine degli stimoli fiscali, i dazi, il surriscaldamento di Wall Street gettano grandi incognite proprio dentro gli Stati Uniti. Il taglio alle imposte che ha dato una spinta al pil americano, e rappresenta il modello al quale si è affezionato Matteo Salvini, sta esaurendo i suoi effetti e i provvedimenti scadranno nel 2020. Già, proprio nell’anno in cui Trump si gioca la rielezione: è facile prevedere che farà una doppia pressione, sul Congresso e sulla banca centrale, affinché allentino le briglie. Con la Federal Reserve è ai ferri corti, tanto che si dice possa cadere la testa di Powell, nominato da Trump nel febbraio 2018 al posto di Janet Yellen. Sembra che il presidente americano abbia consultato i legali della Casa Bianca per capire le possibili conseguenze di un licenziamento in tronco. La Banca centrale per ora mantiene i tassi d’interesse invariati tra il 2,25 e il 2,5 per cento. Ma in presenza di una Bce intenzionata, come ha annunciato Draghi, ad abbassare ancora i tassi nonostante siano sottozero, e a rilanciare il quantitative easing, mentre la Banca del Giappone continua a pompare moneta, il divario con l’area del dollaro si farà rilevante. Le differenze di rendimento tra tassi americani, europei e giapponesi diventeranno così ampie che il capitale semplicemente inonderà i fondi che investono nel mercato monetario statunitense, privando il resto del mondo della principale valuta di finanziamento globale. Visto l’accumulo di debito denominato in dollari nei mercati emergenti, ciò darà fuoco alle polveri.