Un interventismo democratico per non rimanere indifferenti ai casi Palmira
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Quattro proposte dell'ex ministro della Cultura Francesco Rutelli. "Non ci troviamo di fronte a una guerra di civiltà, ma a una guerra contro le civiltà"
Il complesso delle torri funerarie di Palmira
di Francesco Rutelli | 04 Settembre 2015 ore 10:55 Foglio
Maamoun Abdul Karim, sovrintendente per il patrimonio antico siriano, ha detto venerdì che lo Stato islamico ha fatto esplodere tre antiche tombe funerarie nella città di Palmira, conquistata dagli uomini di Abu Bakr al Baghdadi lo scorso maggio. Tra le torri ce n’è anche una tra le meglio preservate del sito, la torre di Elahbel, che risale al 103 a. C. Era un edificio di quattro piani posto nella cosiddetta Valle delle tombe, dove le famiglie più abbienti della città facevano costruire i loro monumenti funerari. La torre di Elahbel poteva ospitare fino a 300 sarcofagi. Abdul Karim aveva avvertito della distruzione delle torri “più belle e meglio conservate” già alcuni giorni fa, ma la conferma ufficiale è arrivata solo dalle immagini satellitari risalenti al 2 settembre. Martedì scorso le immagini satellitari avevano confermato anche la distruzione del tempio di Bal, risalente al I secolo, uno degli edifici più importanti del Vicino oriente secondo le Nazioni Unite. Il mese scorso i jihadisti avevano raso al suolo il tempio di Baalshamin e avevano decapitato Khaled al Asaad, uno dei più importanti studiosi del sito di Palmira.
Al direttore - Fino a un tempo non troppo lontano, fu lecito pensare che Troia potesse non essere mai esistita. Tanto radicale ne fu la distruzione; come quella decisa da Roma nei confronti di Cartagine: l’unica nemica con cui era impossibile stabilire un Patto. Fin dove il fanatismo dello Stato islamico (Is) vorrà spingersi? Il fatto che i moderni abbiano compiuto tanti pellegrinaggi culturali a Palmira, e che le immagini dei turisti – non solo le foto satellitari – documentino per sempre uno splendore cancellato, accresce ovviamente l’angoscia e il dolore per questi crimini. Crimini contro l’umanità, secondo le Convenzioni internazionali in vigore dal 1954 a oggi. A ognuna delle vicende di catastrofica distruzione volontaria del patrimonio culturale in Siria e in Iraq e di organizzazione del traffico illecito del materiale trafugato da parte del Daesh fa seguito un coro di lamentazioni. Poi, il nulla operativo da parte dell’occidente democratico, e un sostanziale silenzio politico-culturale dell’islam istituzionale, civile e religioso.
Ci sono due aspetti da salutare positivamente. L’Unesco, anche a seguito della Risoluzione 2199 del Consiglio di sicurezza Onu (febbraio 2015), usa le parole giuste, per bocca del direttore generale Irina Bokova: “pulizia culturale”; “terrorismo culturale”. E ha proposto un’iniziativa specifica, denominata Unite4Heritage. L’Italia si è mossa con più determinazione, finora, di ogni altro paese: ovvio, si dirà, pensando al nostro rango a lungo sottovalutato di superpotenza culturale, alle capacità eccezionali dei nostri studiosi, imprese, restauratori, archeologi, ai legami che abbiamo storicamente con le regioni colpite (il Tempio di Baal demolito a Palmira fu dedicato nel 32, sotto l’Imperatore Tiberio). Non è così ovvio: la conferenza tenuta dal governo a inizio agosto a Milano (col premier Renzi e il ministro Franceschini) ha rotto la dinamica lamentazioni-inerzia; il Parlamento italiano ha approvato documenti impegnativi; la nostra rappresentanza all’Unesco sta prendendo la guida di un impegno che dev’essere giuridicamente fondato e operativamente efficace. Ora si tratta di stringere.
Il contesto è inequivocabile. Non ci troviamo di fronte a una “guerra di civiltà”, ma a una guerra contro le civiltà.
ARTICOLI CORRELATI Cacciatori di teste per musei. A Palmyra Islam, la deriva settaria L’indignazione e la guerra Il perno di questa perversione è duplice: pretendere di liquidare il pluralismo culturale (religioso e civile): come ha ricordato Paolo Matthiae, la cella meridionale del Tempio di Baal fu usata anche come Moschea, all’inizio dell’VIII secolo. Al di là delle distruzioni e degli orrori scenografici – talvolta, tanto sofisticati da essere cinematografici – esiste un micidiale lavorìo lontano dalle telecamere: l’Is organizza, gestisce, sub-appalta il saccheggio e il commercio dei pezzi archeologici sul mercato clandestino, da cui ricava rilevanti introiti economici. Vanno ammoniti i complici del traffico, come ha fatto alcuni giorni fa l’Fbi (essi possono essere perseguiti per “la fornitura di sostegno finanziario a organizzazioni terroristiche”). La comunità internazionale deve intervenire. Non vuole/può farlo in termini militari? La rinuncia a esercitare un “interventismo democratico” per motivi umanitari – che riguardino gli esseri umani, e anche valori e beni imprescindibili della civiltà universale – è oggi insuperabile? Cerchiamo di agire negli spazi possibili.
Credo che l’Italia debba guidare questo processo. Sia il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, sia il ministro della Cultura Dario Franceschini hanno dimostrato di volersi muovere, fuori di un eccesso di prudenza. Si può fare su quattro punti.
1. La timidezza simbolica va sradicata. E’ stato importante esprimere il lutto, nei nostri musei, per l’esecuzione vile di Khaled Asaad, lo studioso-custode ottantunenne torturato e trucidato a Palmira. Voglio ricordare che le iniziative dell’Associazione Priorità Cultura, negli ultimi due anni, hanno contribuito a togliere dall’isolamento – quasi fossero biechi agenti del regime di Damasco, mentre in non pochi casi sono eroici siriani, difensori dell’Arte anche a rischio della propria vita – persone come Maamoun Abdulkarim, cui abbiamo conferito a Venezia, per il voto di un’autorevole Giuria internazionale, il Cultural Heritage Rescue Prize. Quando abbiamo realizzato a Palazzo Venezia, con l’impegno del Mibact, la Mostra “Siria. Splendore e Dramma”, abbiamo iniziato a porre un problema che nessuno immaginava potesse raggiungere gli attuali abissi.
2. L’Italia può formalizzare in sede Unesco la proposta di costituzione della Task force per intervenire a tutela del patrimonio culturale, come braccio operativo in applicazione dell’articolo 19 della Convenzione del 1954 per la protezione del Patrimonio in caso di conflitti e degli art 9 e 17 della Convenzione del 1970 contro il traffico illecito del patrimonio. Questa Task force – che è stata definita Chh, Cultural Heritage Helmets, ovvero un aggiornamento della proposta italiana di “Caschi Blu per la Cultura” – può diventare anche uno strumento operativo a disposizione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Dovrà essere formata sia da tecnici e studiosi, sia da forze di sicurezza.
3. L’Italia può agire subito. Può annunciare la creazione del proprio contingente nazionale da destinare ai Chh. Può mettere assieme le migliori competenze storico-culturali, scientifiche, nel restauro e nelle tecnologie. L’Italia ha anche una specifica capacità unica al mondo, che ha dato e dà contributi eccezionali: il Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale. Una unità operativa adeguata alle esigenze può essere messa in campo immediatamente.
4. Il tipo di interventi possibili dovrà essere attentamente studiato e definito. Per essere chiari: non si tratta di paracadutare studiosi e carabinieri nelle zone controllate militarmente dal Daesh. Ma di lavorare all’aggiornamento e al monitoraggio dei siti danneggiati e in pericolo. A un sistematico monitoraggio dei traffici illeciti, e ad azioni di recupero e messa in sicurezza dei beni trafugati. A identificare, a margine delle aree in guerra, alcune “zone culturali protette”, come annunciato dal Consiglio esecutivo dell’Unesco: in questi casi, sarebbe possibile coordinare misure di salvaguardia di beni eccezionali e insostituibili con azioni di interposizione o peace enforcing stabilite dal Consiglio di sicurezza Onu. All’Unesco, a maggior ragione, vanno attribuiti compiti e risorse straordinari per il sostegno alla formazione e all’attività di custodi e tecnici, oltre che per predisporre progetti di massima per la ricostruzione e il ripristino di ciò che sarà possibile restituire al mondo, una volta che i conflitti siano superati.
Ci sono state pagine incancellabili della storia, in cui si è deciso di rischiare vite umane pur di tramandare ai nostri successori l’arte minacciata. Mi piace ricordare il caso, poco conosciuto, in cui i franchisti all’assedio della Madrid repubblicana si accordarono coi loro nemici per mettere in salvo i capolavori del Prado, dell’Escorial e di altri musei della Capitale spagnola, trasferendoli temporaneamente attraverso le linee della guerra Civile sino alla sede della Società delle nazioni, a Ginevra.
Le differenti tragedie di oggi – che non avevamo immaginato di dover fronteggiare – chiamano ad agire in modo diverso. Anche per questo abbiamo appena fondato una nuova associazione, Incontro di civiltà, con lo scopo di promuovere nel Mediterraneo e nel Medio Oriente restauri e riabilitazioni di siti di alto valore culturale e simbolico, capaci di creare anche sviluppo economico locale. Un’iniziativa che presto presenteremo, con gli illustri promotori, come un contributo originale, al cento per cento italiano, in questi tempi difficili.
Francesco Rutelli è ex ministro della Cultura