Democrazia & Co.. Come il nuovo secolo cambia il regime politico all'epoca della sovranità relativa
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Sono passati quindici anni dall’inizio del nuovo secolo eppure le democrazie occidentali stanno subendo un processo di trasformazione che le rende già piuttosto diverse da quelle della ricostruzione post-bellica iniziata nel 1945.
Allegoria del Buon Governo, 1338-1339, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena
di Lorenzo Castellani | 06 Agosto 2015 ore 13:02
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Roma. Sono passati quindici anni dall’inizio del nuovo secolo eppure le democrazie occidentali stanno subendo un processo di trasformazione che le rende già piuttosto diverse da quelle della ricostruzione post-bellica iniziata nel 1945. Un processo di cambiamento dovuto al declino di alcuni poteri e al sorgere di altri. Questa è la tesi di Pierre Rosanvallon espressa nella sua trilogia sulla democrazia recentemente pubblicata in italiano, e in particolare dal secondo libro intitolato "La legittimità democratica. Imparzialità, riflessività, prossimità" (Rosenberg & Sellier, 2015), in cui l’accademico francese individua a partire dagli anni ’80 il processo di disgregazione di due elementi fondamentali del concerto democratico: la crisi dell’amministrazione pubblica e quella del “momento elettorale”.
L’“ubriacatura tecnocratica” sarà finita, ma i politologi sono nostalgici Il primo è figlio del superamento del welfare state che ha sede proprio negli anni ottanta con il declassamento, nella dialettica politica, dell’amministrazione da strumento cardine per il funzionamento dello Stato a potere corporativo, espressione di privilegi, veti ed interessi costituiti che frenano lo sviluppo economico. Il secondo deriva da una nuova articolazioni di poteri a livello globale che hanno svuotato l’importanza dell’elezioni e delle istituzioni rappresentative. Si parla qui dello sviluppo di istituzioni e diritto a livello globale, di populismi, originati dall’avvento dei nuovi media e chiamati da Rosanvallon “controdemocrazie”, che hanno come unico scopo la delegittimazione di parlamenti e classe politica, dello sviluppo di poteri sovranazionali come l’Unione europea.
Tutti accadimenti che hanno fortemente depotenziato la tradizionale dialettica delle democrazie liberali trasformandole in “democrazie decentrate” in cui le decisioni politicamente rilevanti non vengono prese soltanto dal binomio governo-Parlamento, ma da istituzioni lontane dai cittadini, non elettive e capaci di temperare la tendenza al presentismo delle classi politiche. Tra queste risultano essere particolarmente influenti nelle scelte politiche concrete le Corti costituzionali e le Authorities, ovvero corpi scelti composti da tecnici selezionati per merito e imparzialità che rappresentano le principali istituzioni attraverso cui la democrazia è stata depoliticizzata negli ultimi vent’anni. Rosanvallon le chiame istituzioni “riflessive” cioè capaci di preservare l’ordine costituzionale e amministrativo che tende ad essere travolto dalle spinte consensuali della politica e di esercitare una funzione frenante alle pulsioni populistiche e autoritarie.
Esse rappresentano il “trionfo dell’impolitico”, esprimono una forma di governo mista che bilancia momento elettorale e oligarchie, si muovono in punta di diritto condizionando tutti e tre i poteri statuali individuati da Montesquieu e garantiscono ai cittadini un controllo giurisdizionale sulle attività degli eletti. Nonostante la crescente importanza di queste, la “società delle particolarità” del ventunesimo secolo si governa grazie all’equilibro tra le stesse istituzioni riflessive e le ineliminabili istituzioni rappresentative.
Il docente esemplifica così due concetti fondamentali per lo studio delle democrazie occidentali: la fine della sovranità “assoluta” così come conosciuta nella prima metà del ventesimo secolo considerato oramai un concetto superato dalla storia stessa e l’impossibilità di eliminare i tratti tecnocratici di depoliticizzazione e giuridicizzazione nelle democrazie. Tuttavia, ciò non significa rinunciare ad un ritorno della politica in forme nuove. Infatti, concetto cardine della teoria democratica di Rosanvallon resta il concetto di “prossimità” delle istituzioni al cittadino. Quanto più l’elettore avverte come lontane le istituzioni tanto più queste possono essere delegittimate, attaccate dalle controdemocrazie, prese in ostaggio dal presentismo e dallo stallo decisionale.
Si dovrebbe quindi puntare su strumenti di partecipazione diretta come referendum e consultazioni popolari quanto sull’introduzione di criteri di trasparenza e informazione nel funzionamento delle istitituzioni sia sul principio di sussidiarietà devolvendo ai poteri più prossimi alla comunità quante più funzioni governative possibili. La democrazia delle origini è nata come forma di governo misto e solo come tale può funzionare reggendosi sulla delicata tensione tra istituzioni imparziali, momento elettorale e istituzioni rappresentative. Solo grazie a questo assetto le spinte populistiche possono essere frenate, le classi politiche riescono a guidare il cambiamento e non ad accompagnare esclusivamente gli umori popolari, nuove forme di partecipazione possono essere offerte e le garanzie giuridiche preservate.
Da ultimo, Rosanvallon offre una visione realista sul quale il “mito sovranista” decisamente in voga nelle “controdemocrazie” d’Europa è destinato ad infrangersi: capitalismo globale, tecnologie e informazione di massa hanno cambiato definitivamente la democrazia contemporanea consegnandola all’epoca della sovranità relativa e a un nuovo equilibrio tra poteri statuali e sovra-statuali. Pensare di tornare all’autarchia decisionale e politica, rinunciare all’interdipendenza giuridica e finanziaria internazionale, difendere la sovranità assoluta significa illudersi di vivere in un mondo che da tempo non esiste più.
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