La fine dell’Europa burocratica. Il termine «paradosso» è di origine greca.
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E’ quindi appropriato che l’attuale situazione greca sia descrivibile mediante non uno ma addirittura due paradossi.
La Stampa. Opinioni 05/07/2015 MARIO DEAGLIO
Il termine «paradosso» è di origine greca. E’ quindi appropriato che l’attuale situazione greca sia descrivibile mediante non uno ma addirittura due paradossi.
Il primo paradosso suona così: quale che sia il risultato del referendum di oggi, che attira l’attenzione spasmodica dei media di tutto il mondo, la sua influenza sulla situazione greca sarà poca o nulla. Che vincano i fautori del «no» o quelli del «sì», la Grecia rimane (secondo le dichiarazioni del ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis) un Paese con un «deficit primario» ossia così indebitato da dover contrarre nuovi debiti per pagare gli interessi sui debiti già esistenti. Di fatto non troverebbe nessuno, ma proprio nessuno, su nessun mercato finanziario al mondo, che le presterebbe un solo dollaro o un solo euro.
Il primo ministro greco, Alexis Tsipras, sa benissimo che il gelido tavolo delle trattative di Bruxelles è l’unico posto al quale gli è possibile ottenere ciò che serve, ossia «regali» che assumano la forma di abbattimento del debito e annullamento degli interessi.
Sa benissimo che senza un sostegno immediato (il che significa letteralmente da lunedì o martedì mattina) dalla Banca Centrale Europea ad Atene scarseggeranno il pane, la benzina, le medicine e tutte le banche si avvieranno al fallimento. Che cosa possono offrire Tsipras e Varoufakis (o chi li sostituirà se vinceranno i «sì» e il governo darà davvero le dimissioni) in cambio di questo sostegno? Possono (devono) garantire una politica economica che impedisca la formazione del deficit primario il che fa inevitabilmente rima con «sacrifici». Questi sacrifici sono però una medicina con fortissime controindicazioni. E’ necessario svolgere un’azione parallela di finanziamento alla crescita, ossia un programma pluriennale (che copra almeno un decennio) per rimettere in piedi l’economia greca. Tale programma sarà indispensabile anche se la Grecia dovesse uscire dall’euro o dovesse passare a un regime di doppia moneta. Sarà essenziale, in ogni caso, concordare una data di rientro nell’euro al termine di questo programma.
Il secondo paradosso si può esprimere con un notissimo verso della seconda epistola di Orazio: «La Grecia conquistata conquistò il selvaggio vincitore». Nel senso che, dopo l’avventura greca, l’Europa non potrà più essere la stessa. Che abbia successo, con la messa a punto del programma pluriennale di cui sopra, oppure che la situazione scivoli nel caos, questa è la fine dell’Europa «razionale» delle burocrazie. Il «caso Grecia» segna l’irrompere sulla scena di scelte politico-sociali scomode, che si era cercato per vent’anni di evitare, pone le premesse per un ritorno a un vero «far politica» a livello europeo, a occuparsi di esseri umani più che di numeri, a ragionare davvero sul futuro.
In questo senso, la crisi greca arriva al momento appropriato, ossia quando l’Europa ha perso la sua storica posizione centrale nell’economia globale, il cui fulcro si è spostato dall’Atlantico al Pacifico e, proprio per questo suo decentramento, rischia di guardare con troppa attenzione l’albero Grecia e di dimenticarsi della foresta Mondo.
L’albero Grecia soffre di una malattia senza precedenti che richiede rimedi senza precedenti in quanto è in pratica la prima volta nella storia in cui ci si trova in presenza di una moneta senza Stato. E’ però l’intera foresta Mondo a presentare sintomi allarmanti di cattiva salute a cominciare dall’albero Giappone. Dopo due anni di frenetica stampa di nuova moneta, la crescita è attualmente sostenuta dall’accumulo di prodotti nei magazzini, il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo è quasi il doppio di quello italiano ed è sostenibile solo perché i risparmiatori giapponesi si accontentano di interessi bassissimi e perché la bilancia commerciale è ancora positiva, di poco. Se il segno dovesse cambiare la crisi potrebbe esplodere improvvisamente, con conseguenze difficili da prevedere, ma comunque gravi sul piano mondiale.
Il secondo albero malato è la Cina. I nuovi governanti si sono trovati di fronte a una decina di città-fantasma e oltre 60 milioni di case vuote, un’enorme bolla immobiliare e cercano di farla sgonfiare lentamente senza che scoppi, ma intanto si è registrato un vero e proprio cedimento delle quotazioni di Borsa, con perdite del 15-20 per cento in un mese, e delle esportazioni (-2,8 per cento a maggio). I problemi di salute non risparmiano gli Stati Uniti, dove l’occupazione aumenta in quantità, ma perde in qualità e aumentano i divari sociali; né il Fondo Monetario che fa il duro con la Grecia, ma ha prestato senza fiatare all’Ucraina 17,5 miliardi di dollari (che probabilmente non rivedrà più). In altre parole, le ruote dell’economia girano più adagio del previsto. E non si tratta certo della (sola) Grecia.
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