La crociata degli indignati. Una nuova forma di censura sta uccidendo la libertà di parola.

Il giornalista inglese Mike Hume ci racconta “la brigata di perbenisti che ci ha imposto il pensiero unico”

di Giulio Meotti | 22 Giugno 2015 ore 17:00 Foglio

“Trigger Warning” è il titolo del nuovo libro del giornalista inglese di sinistra Mike Hume

Un revolver in copertina e quella espressione, entrata ormai nel vocabolario anglosassone, che avverte il lettore sul contenuto potenzialmente offensivo: “Trigger warning”. E’ il titolo del libro del giornalista inglese Mike Hume, editorialista del Times da quindici anni. Ovvero, come l’occidente ha ucciso la libertà di espressione. Alcuni giorni dopo la sua pubblicazione nel Regno Unito, il professor Tim Hunt, un famoso biochimico Premio Nobel, nel corso di una conferenza a Seul ha detto che ha tre problemi con le ragazze in laboratorio, vale a dire: “Ti innamori di loro, si innamorano di te, e quando le critichi, piangono”. Una battuta forse di cattivo gusto, ma tanto basta per distruggere la carriera e la reputazione di Hunt. Andre Giem, Premio Nobel per la Medicina, ha difeso, assieme ad altri sette vincitori del Premio Nobel, il collega “croficisso da fanatici ideologici”.

Come si spiega che la società occidentale abbia capitolato cosi rapidamente di fronte a quelli che Hume chiama “gli ipocriti crociati contro le idee offensive, per i quali il linguaggio non è mai una cosa da ridere”? “Ci sono diversi fattori coinvolti”, dice Mike Hume al Foglio. “Ma la cosa più importante è che i nostri atteggiamenti verso la libertà di espressione riflettono la nostra visione dell’umanità in ogni momento della storia. Quando l’umanità si muove in avanti, il sostegno per la libertà di parola e la libertà di stampa tendono ad aumentare con esso. Ma quando la fede nell’umanità crolla, come in gran parte della cultura occidentale oggi, il sostegno per la libertà di parola passa di moda. In particolare, oggi, le élite politiche e culturali temono le masse come inaffidabili e così vogliono controllare e sterilizzare quello che possono dire, sentire, leggere o anche solo pensare, dai mass media fino a una partita di calcio. Una cultura della proibizione verbale ha preso in consegna la società, guidata da un esercito di militanti sedicenti che si considerano i guardiani del pensiero corretto. Solo un paio di mesi fa, Elton John ha chiesto un boicottaggio del marchio di moda Dolce & Gabbana perché i due stilisti italiani avevano criticato la genitorialità gay e il trattamento di fertilità. Invece di un dibattito aperto e di uno scontro di idee sul futuro della società, l’obiettivo è semplicemente quello di evitare le controversie, mantenere le cose tranquille e sorvegliare il linguaggio che le persone utilizzano. Questo porta alla capitolazione della correttezza politica e all’auto-censura. Il grande filosofo liberale del XIX secolo John Stuart Mill ha messo in guardia contro ‘la tirannia dell’opinione prevalente’, ma questo è esattamente quello verso cui stiamo scivolando all’inizio del XXI secolo. Questo sdegno implacabile sul linguaggio sta causando un danno profondo, non solo ai singoli, ma anche al concetto stesso di libertà di parola, che è uno dei pilastri della nostra civiltà. Come ha detto George Orwell: ‘Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vogliono sentirsi dire’. Nel corso dei secoli, la libertà di parola è stato il fattore più importante nel determinare l’avanzata della democrazia. Questo è esattamente il motivo per cui potenti interessi costituiti, ad esempio regimi dispotici e le élite ricche, hanno sempre lottato così duramente per limitarlo. E’ per questo che la lotta per la libertà di parola è così importante oggi, perché si tratta di una dichiarazione di fede nel futuro della nostra comune umanità”.

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Lei scrive che “Je suis Charlie” è uno slogan vuoto e ipocrita. “Le reazioni alla strage di Charlie Hebdo hanno rivelato il divario tra il sostegno rituale per la libertà di parola ‘in linea di principio’ nelle nostre élite politiche e il modo in cui tutti la attaccano in pratica. Così i governi occidentali hanno aderito alla marcia ‘Je Suis Charlie’ a Parigi, mentre allo stesso tempo lanciavano un giro di vite su tutte le idee o discorsi ritenuti ‘islamofobi’. Naturalmente, la convinzione che è sbagliato essere ‘offensivo’ verso l’islam esiste nei circoli intellettuali occidentali da molto tempo prima degli omicidi di Charlie Hebdo. Almeno dalla crisi su Salman Rushdie e i ‘Versetti Satanici’. C’è una lunga lista di testi, libri e mostre che sono stati cancellati per evitare di causare offesa, spesso anche prima che qualcuno avesse protestato. Ma questa vigliaccheria intellettuale al centro della nostra cultura ha incoraggiato gli assassini islamici di Charlie Hebdo. Leggi europee contro il ‘discorso dell’odio’ lanciano il segnale secondo cui i pareri offensivi devono essere messi a tacere, e coloro che gli danno voce devono essere puniti. Gli uomini armati misero in pratica questo approccio nel modo più brutale”.

Secondo Hume, due crimini sono stati commessi contro Charlie Hebdo a gennaio. “Uomini armati hanno ucciso otto fra fumettisti e giornalisti, due agenti di polizia e altri due, in una dimostrazione grafica del loro odio per la libertà di parola e di stampa. Poi la società occidentale ha commesso una frode alla libertà di parola. Ci hanno venduto l’idea che avevano sostenuto la libertà di parola, compiendo gesti retorici di sostegno per le vittime di Charlie Hebdo. Eppure allo stesso tempo molti mostrarono il loro disprezzo per la vera libertà di espressione che consente di esistere a queste pubblicazioni provocatorie”. La massiccia dimostrazione “Je suis Charlie” di Parigi e in molte altre città dopo la strage e gli omicidi collegati a un supermercato ebraico erano “dimostrazioni edificanti di solidarietà umana che ci hanno impressionato. Tuttavia, hanno dato un’impressione fuorviante. Come se da una parte ci fosse il mondo libero unito nel sostegno a Charlie Hebdo e alla libertà di espressione, e dall’altro, una manciata di estremisti che si oppone alla libertà e a ‘tutto ciò che abbiamo di caro’. Dietro quelle espressioni di solidarietà, tuttavia, l’opinione pubblica occidentale era molto meno solidale sulla libertà di parola. Ben presto è emerso che la minaccia alla libertà non è venuta soltanto da pochi barbari alle porte. La libertà di parola deve affrontare i nemici più potenti all’interno della supposta cittadella della civiltà. Questo consenso includeva alcuni compagni di letto insoliti, come Papa Francesco e il Partito comunista cinese. Subito dopo aver condannato gli omicidi, il Papa è apparso quasi a suggerire che questi vignettisti ‘provocatori’ avessero aspirato alla morte in redazione. La Xinhua News Agency statale, voce ufficiale del regime cinese, un paio di giorni prima del Papa aveva affermato che ‘ci dovrebbero essere dei limiti alla libertà di stampa’”.

Gran parte della élite culturale nel Regno Unito ha preso posizione contro Charlie Hebdo. “Il romanziere Will Self ha scritto che gli assassini erano ‘male’, ma anche che ‘la nostra società fa un feticcio del ‘diritto alla libertà di parola’, senza mai mettere in discussione che tipo di responsabilità è implicata da questo diritto’. Ancora più in alto nella stratosfera letteraria, la London Review of Books, campione autoproclamato di espressione artistica, riusciva a malapena a nascondere la mancanza di empatia per i vignettisti sterminati a Charlie Hebdo. L’occidente oggi è perseguitato da una cultura strisciante del conformismo. Nel disperato tentativo di trovare l’offesa a ogni turno, desiderosi di sopprimere ogni espressione che si discosti dal loro punto di vista conformista, questi sono i guerrieri della brigata del ‘non si può dire’”.

Dai re e dai cardinali al “Twitter mob”

Chi sono oggi i censori più accaniti e pericolosi? “Questo è il più grande cambiamento. La libertà di parola è sempre in pericolo, ma non sempre dagli stessi nemici. La stessa libertà è oggi vista come qualcosa di minaccioso. Come i re e i cardinali del passato, i moderni guardiani della morale ritengono che il linguaggio debba essere controllato, al fine di prevenire la diffusione dell’eresia, del dissenso, dell’anarchia e dei conflitti. Un tale approccio restrittivo riflette una visione profondamente paternalistica del pubblico. Oggi il problema più urgente non sono i sostenitori vecchio stile della censura, come le chiese o i conservatori. Né la censura di stato ufficiale in nome della sicurezza nazionale. Invece la minaccia più insidiosa di oggi viene da una censura non ufficiale, da quegli attivisti che chiedono la fine del discorso offensivo e odioso. Sono i ‘Twitter-mob’ e i firmatari di appelli online il cui slogan è ‘you-can-not-say-that’. Quando lo stato censura, oggi, si trova normalmente a farlo in risposta alle loro richieste. Essi sostengono, naturalmente, che non sono contro la libertà di parola, ma che vogliono proteggere i ‘più vulnerabili’. Nel 2014, un gruppo di attivisti ambientali nel Regno Unito ha sostenuto che i ‘negazionisti del cambiamento climatico’ sono ‘responsabili di crimini contro l’umanità’ e che devono affrontare una ‘sorta di Norimberga’ per aver diffuso attivamente il dubbio circa l’ortodossia sul riscaldamento globale. La cosa più deprimente per me, da vecchio giornalista di sinistra, è che la maggior parte di questi censori non ufficiali sostengono di essere di mentalità liberal. Nel mio libro descrivo queste forze come ‘contro Voltaire’. Questi fanatici non si accontentano di esercitare il loro diritto di criticare qualcuno. Tremanti d’indignazione ipocrita, vogliono mettere a tacere coloro che non sono conformi al loro pensiero di gruppo. Le università, che dovrebbero essere dei bastioni di libertà, sono trasformate in tristi cittadelle del conformismo. Negli anni Settanta, l’Unione nazionale degli studenti ha fatto una campagna per vietare l’estremismo nei campus al grido di ‘nessuna piattaforma per razzisti e fascisti’. Oggi questa idea è tramutata in un divieto di qualsiasi controversia, sulla base del fatto che gli studenti sono troppo delicati per affrontare qualsiasi disagio. Si tratta di un’amara ironia vedere queste richieste di limitare la libertà di parola in nome di vari gruppi identitari. In passato coloro che lottavano per la libertà e l’uguaglianza per le donne, i neri, i gay e altri gruppi avevano capito che la lotta per la libertà di parola era centrale per la loro lotta”.

Verso quale società stiamo andando incontro? Una sorta di morbida Inquisizione? “Questo è un pericolo reale. La sua descrizione dell’Inquisizione è importante. Non c’è tortura o esecuzioni oggi nella guerra alla libertà di parola in occidente. Non ve ne è alcun bisogno comunque! Tutto quello che devi fare è dire ‘mi sento offeso’ e l’altro lato sarà sotto pressione per scusarsi. Una volta accettata questa interpretazione puramente personale di ciò che ci è consentito dire è difficile resistere. Vi è una stretta ortodossia di opinioni conformiste che non ti è permesso di criticare. C’è l’intolleranza (in nome della tolleranza, ovviamente) di qualsiasi dissenso o punto di vista ‘eretico’. E c’è un tentativo di sorvegliare non solo il linguaggio, ma anche i pensieri di coloro che non sono d’accordo, di costringerli a conformarsi in privato e pubblico. Abbiamo allora bisogno di rilanciare e aggiornare lo spirito del grande olandese dell’Illuminismo, Spinoza, che circa 350 anni fa disse che la norma per una società moderna è che ‘in uno stato libero, ognuno può pensare ciò che vuole e dire ciò che pensa’”. Ma l’Amsterdam di Spinoza ha lasciato il passo a quella di Theo van Gogh, dove si muore per aver esercitato la libertà di espressione. “La libertà di parola sta diventando un privilegio e non più un diritto”, conclude Hume. “E come ci ha insegnato la storia, allora la campana suona a morto per una società libera e democratica”.

Categoria Cultura

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