Corsivo in via di estinzione: i bambini non lo imparano piùIl corsivo è morto.

O se non è morto, è in via di estinzione. Se ne sono accorti al ministero dell’Istruzione, quando hanno avuto contezza delle ultime prove da avvocato vergate stampatello..

12.5.2024 liberoquotidiano.it lettura4’

Il corsivo è morto. O se non è morto, è in via di estinzione. Se ne sono accorti al ministero dell’Istruzione, quando hanno avuto contezza delle ultime prove da avvocato. La maggior parte erano vergate in stampatello... Lettere abbarbicate sugli alambicchi della legislazione prive di ogni personalità, e giovani brillanti seduti sul cippo della conoscenza che, anziché scrivere in corsivo cavilli e articolesse del codice penale, disegnavano stanghette come in prima elementare. «Sono rimasto molto colpito che a un esame per avvocati gli studenti usassero lo stampatello» ha detto il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. «Parlando con i docenti ho capito che in qualche scuola il corsivo non si insegna più e credo che questo sia negativo». Ma il corsivo è la base dell’umanità, hanno detto fior di studiosi, l’origine della parola. Espressione dell’arte e dell’animo umano. Si impose nell’Italia del Rinascimento perla convinzione diffusa che derivando dal latino currere (correre, scorre) consentisse di tradurre più velocemente il proprio pensiero su carta. Possibile che siamo talmente asini da averlo scordato? Secondo un recente studio della Sapienza di Roma, un bambino su cinque ha serie difficoltà nello scrivere in corsivo. E molti ragazzini arrivano alle medie senza più conoscere quel grande mistero che sono le lettere come già le sognava Petrarca.

PENSIERO TANGIBILE

La maestra Antonia Bellini è un’istituzione nella scuola elementare del milanese in cui insegna. Un monolite del sapere, che da qualche decennio entra nelle classi di prima elementare e inculca nelle menti dei suoi bimbi le basi della conoscenza. Raccontano che abbia l’abitudine di scrutare l’animo dei piccoli discepoli arginando insicurezze e paure e facendo delle inclinazioni di ognuno possibilità e talenti. Fiori che sbocciano dalle sue mani e che lei accompagna verso la giovinezza tra incoraggiamenti e materni rimproveri. Ogni primo giorno di scuola si avvicina alla lavagna con sorriso disarmante, afferra il gessetto e comincia a vergare con mano ferma e entusiasta la magnificenza delle lettere in corsivo, la H che sale fino ad altezze vertiginose, le curve armoniose della F... eppure tutto rischia di andare perduto, maestra. «Sono 25 anni che i docenti delle elementari non insegnano il corsivo e non stimolano i bambini a farlo», dice Bellini. «Se un ragazzo ha difficoltà - è il ragionamento in voga - perché tarpargli le ali privandolo della libertà di esprimersi in stampatello? Ma il bambino è naturalmente attratto da ciò che sente più facile e rifugge ciò che percepisce come ostico: tocca a noi guidarlo». «Nella mia esperienza ormai quarantennale», aggiunge, «ho sempre presentato tutti e 4 i caratteri contemporaneamente, i due stampati e i due corsivi maiuscolo e minuscolo». L’unione di lettere che è unione di pensieri e conduce a formulare un’espressione più consona. «Nella scrittura corsiva il pensiero diventa tangibile, traduco il mio pensiero e tocco con mano la memoria che lo ricrea. Il bimbo che ha una scrittura pessima avrà inevitabilmente un pensiero frenetico».

Il telescopio viaggia in Africa e incanta i bambini del Kenya

Quanta poesia, poi, in una manina che afferra la matita e segue le onde, i sussulti, gli avvallamenti. «Si stimolano il cervello e la fantasia», si favorisce la motricità e la velocità di pensiero, «non si è costretti in una successione di linee dritte e stampate meccanicamente». Un tempo si sfinivano i quaderni di catene di “a”, “b” e “c” che andavano a braccetto come amiche inseparabili. «C’era persino l’esame di bella grafia», ricorda la maestra e i bimbi come piccoli amanuensi componevano quaderni che erano opere d’arte. Oggi invece il 75% degli scolari tra i 6 e i 10 anni usa lo smartphone regolarmente. Le lezioni sono carichi di ciclostilati che arrivano nelle famiglie sotto forma di esercizi stampati cui rispondere con crocette e colori. «Colpa dell’informatizzazione, certo - sostiene l’insegnante, - ma soprattutto della voglia di introdurre continuamente nuovi metodi e nuovi sistemi... Eppure non c’è nulla di antico nel corsivo, è sapere che si tramanda». I Paesi vanno in ordine sparso. In Francia si usa il corsivo dalla scuola materna. In Messico pare sia stato definitivamente archiviato. Gli Stati Uniti l’avevano soppresso ma ci stanno ripensando. «L’altro lato della medaglia è che abbiamo poco tempo da dedicare alla bella scrittura e alla correzione dettagliata dei compiti. Siamo oberati dalla burocrazia scolastica, dai progetti che tolgono tempo ed energie. Sono amarezze, perché il disordine scritto è destinato a rimanere disordine mentale». Il sapere intanto si frammenta. «I libri lasciano orAmai a desiderare: 14 volumi in una prima elementare e un quaderno per ogni materia sono inconcepibili». Il momento del voto peraltro è un macigno che pesa sulle teste dei maestri. «Tra poco torneremo a dare ottimo, distinto, sufficiente. Ma dopo il Covid è stata una corsa contro il tempo per imparare i nuovi giudizi: La-Lb-Lc-Ld, dove La rasenta la perfezione. Otto voti sulle pagelle solo per l’italiano».

ALLARME DISTURBI

Il grande allarme di questi anni sono poi i disturbi dell’apprendimento, dislessia, disgrafia, discalculia. Si calcola che in undici anni siano aumentati del 500 per cento, dallo 0.9 per cento della popolazione studentesca al 5,4 %. Solo le diagnosi di dislessia sono cresciute del 110,9 per cento. «Nella nostra scuola ne abbiamo decine. Ma rimango perplessa di fronte a tanti nuovi casi. Avevo una bimba che andava dal logopedista perché non pronunciava la “r”, la “z” e la “s”. Mi dice un giorno: “Mamma si chiama Flancesca”, e non pronuncia la “r” e la “sc”. Le dico: “Metti la mano sul mio collo, senti la gola come vibra e il vento che esce dalla bocca mentre ripeto Francesca. Provaci tu adesso”. Ha tentato e ritentato. E alla fine ci è riuscita. Quella bimba non aveva bisogno di un logopedista, ma solo di una mamma che la ascoltasse».

Quarant’anni di insegnamento, dagli inizi in Basilicata dove tutto forse era più facile e dove da piccina aveva vinto una borsa di studio che le avrebbe pagato gli studi fino alla laurea. Poi la grande Milano. Tanto è cambiato da allora, e «i fanciulli non sono più gli stessi di un tempo ma sono migliorati. Sono più ricettivi hanno più conoscenze extrascolastiche. Sono però fragili e vanno ascoltati». Tra un anno questa brava maestra andrà in pensione, e sarà difficile sostituirla, un po’ come il corsivo di cui ha cosparso lavagne e quaderni. Chi l’ha conosciuta sa che la rimpiangerà moltissimo e porterà sempre un pezzetto di lei dentro il grande mistero della vita

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