Futuro di libertà- Quattro giovani leader raccontano il loro impegno nel movimento globale per la democrazia

Achraf Manar, Michele Castrezzati, Victoria Portnaia e Philippine Dutailly spiegano perché è importante dedicarsi alla costruzione di un mondo libero anziché focalizzare gli sforzi su altre battaglie più specifiche che caratterizzano le nuove generazioni, dal clima ai rifugiati

Shivani Vora 7.2.2023 linkiesta.it lettura 8’

Questo è un articolo del numero di Linkiesta Magazine + New York Times World Review 2022 ordinabile qui. È un’intervista a quattro giovanissimi leader impegnati nel movimento globale per la democrazia

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Achraf Manar (AM) 24 anni, Parigi (Francia). È organizzatore presso Different Leaders, un gruppo internazionale di più di 200 giovani tra i 18 e i 35 anni che, dal 2015, indice ogni anno la Giornata internazionale delle pari opportunità. L’iniziativa si svolge in cinquanta diverse città il 5 dicembre (anniversario della morte di Nelson Mandela, avvenuta nel 2013) e include eventi e attività che promuovono l’uguaglianza e incoraggiano i giovani a impegnarsi nel movimento a favore della democrazia.

Michele Castrezzati (MC) 22 anni, Trento (Italia). È fellow dell’International Youth Think Tank. Ha collaborato con Urban Strandberg, cofondatore di questo think tank, nella creazione di Open Chair Democracy Talks, un’iniziativa globale in cui le persone che fanno parte di questa organizzazione si siedono su una sedia collocata su una strada pubblica, mettono una sedia vuota davanti a loro e invitano i passanti a intraprendere una conversazione intorno alla democrazia.

Victoria Portnaia (VP) 19 anni, Malmö (Svezia). È fellow dell’International Youth Think Tank. È nata a Šostka, in Ucraina, ed è cresciuta in Russia. Ora vive in Svezia dove ha fatto richiesta di asilo. È iscritta all’Università di Malmö (Peace and Conflict Studies) e, prima di lasciare il Paese, ha tenuto a Mosca degli incontri dell’iniziativa Open Chair Democracy Talks.

Philippine Dutailly (PD) 23 anni, Montpellier (Francia). È tirocinante presso il Comité scientifique français de la désertification, un gruppo di ricerca che si occupa del degrado dei terreni. Come fellow dell’International Youth Think Tank, ha condotto degli incontri nell’ambito dell’iniziativa Open Chair Democracy Talks e si è impegnata nel promuovere il punto di vista dei giovani che provengono da un ambiente rurale. Nel 2021 ha partecipato all’Athens Democracy Forum dove ha presentato la sua proposta sulla democrazia.

Che cosa ti ha spinto a impegnarti in questo campo? Perché non per il clima o per i rifugiati?

AM: Io sono cresciuto in una regione rurale della Francia che si chiama Alvernia, ma provengo da una famiglia povera del Marocco. Ho fatto visita ogni anno ai miei nonni, alle mie zie, ai miei zii e ai miei cugini che abitano lì e ho osservato le ingiustizie che subiscono perché non hanno soldi. Questo mi ha motivato a impegnarmi per provare a cambiare le cose – e non solo per loro, ma per chiunque non abbia le stesse opportunità che hanno gli altri.

MC: È proprio una democrazia in buona salute ciò che consente di mettere al centro dell’attenzione il cambiamento climatico, le disuguaglianze di genere e altre ingiustizie sociali. La democrazia ha il ruolo che ha un batterista in un gruppo: senza batterista gli altri non possono suonare al loro meglio.

VP: Il fatto che io mi impegni in questo campo è semplicemente una questione di sopravvivenza: soprattutto della sopravvivenza mia, della mia famiglia, dei miei amici, dei miei compagni di classe e degli altri miei concittadini. In Russia io ho lottato contro la corruzione, contro i pregiudizi che incontravo a scuola a causa delle mia nazionalità e contro altre cose. Quando avevo tredici anni ho cominciato a bombardare i politici e le istituzioni pubbliche con lettere che spiegavano i miei problemi e implorando più giustizia. A diciotto ho iniziato a rendere più strutturata la mia attività a favore della democrazia aderendo a diverse organizzazioni per aiutare milioni di persone a respirare liberamente, come ad esempio l’International Youth Think Tank e il Centro Sakharov di Mosca, che aiuta a proteggere i diritti umani in Russia.

PD: La crisi climatica e quella dei rifugiati hanno le stesse radici della crisi della democrazia. Non puoi affrontare efficacemente la crisi climatica se non prendi decisioni che contribuiscono a rendere il clima un bene comune. E la capacità di prendere decisioni collettivamente è il principio alla base della democrazia. Con la crisi dei rifugiati è la stessa cosa: in che modo puoi aiutare i rifugiati se non affronti le cause che li hanno costretti a lasciare il loro Paese?

Che importanza possono avere i giovani nel movimento per la democrazia?

AM: Possono svolgere un ruolo di grande importanza. Possiamo aiutare a organizzare campagne a favore delle persone che soffrono per aiutarle a riunirsi in gruppi e a trovare un modo per far sentire la loro voce.

MC: Possiamo svolgere un ruolo, ma i giovani preferiscono impegnarsi nei movimenti sociali che nei partiti politici. Manifestare in piazza o firmare petizioni è un modo di influenzare il potere in modo soltanto indiretto. E così, alla fine, non si ottengono i risultati sperati perché sono i partiti politici a prendere davvero le decisioni.

VP: Possiamo avere un ruolo importante. Accade di frequente che l’elemento chiave delle proteste a favore della democrazia siano proprio i giovani, che spesso prendono parte al rovesciamento dei regimi autoritari. Noi apparteniamo a una generazione che è meno timorosa rispetto a quella dei nostri genitori e, rispetto alle persone più adulte, noi giovani abbiamo meno da perdere, perché non dobbiamo mettere a rischio un lavoro stabile o un patrimonio. E questo ci rende più liberi di fare pressioni per ottenere la democrazia.

PD: I giovani sono cittadini. E, in quanto tali, anche prima di raggiungere l’età per votare, hanno idee e cose da dire. Hanno il diritto di esprimersi, tanto più che è più improbabile che le loro idee siano contaminate dal conformismo.

E verranno presi sul serio?

AM: In quanto giovani, ci mancano i soldi e le relazioni e siamo volontari. Per queste ragioni, non possiamo essere sempre efficaci come vorremmo e spesso non veniamo presi sul serio dai politici.

MC: Ogni giovane che si impegna a favore della democrazia è considerato un outsider. Il potere è nelle mani di persone più adulte e per questo, no, non veniamo presi sempre sul serio. In quanto giovani, siamo connessi con i media e con le persone comuni, ma non altrettanto con l’élite politica. E, in ultima analisi, è questa a contare davvero.

VP: Sì, i giovani vengono presi sul serio dal momento che sono davvero convinta che essi costituiscano una reale minaccia per la sicurezza dei regimi autoritari.

PD: Probabilmente no, soprattutto all’inizio. Ma, dal momento che basiamo il nostro impegno su fatti e dati precisi, penso che non potranno ignorarci a lungo. Greta Thunberg ne è la prova. Le ridevano dietro, ma adesso tiene discorsi all’Onu. Sta sparigliando le carte.

La tua giovane età ti aiutato o ti ha danneggiato? E in che modo?

AM: La mia giovane età mi ha aiutato a entrare in relazione con altri ragazzi. È come se sentissero di potersi immedesimare in me, quale che sia la loro condizione. Tuttavia, dal momento che sono giovane, spesso i politici ignorano quello che dico.

MC: La mia età mi ha aiutato più di quanto mi abbia danneggiato. Sono fortunato, perché ho iniziato da piccolo a viaggiare in tutto il mondo e questo ha allargato presto il mio sguardo. Le mie esperienze mi rendono aperto verso tutte le persone e le loro storie. E sono state l’elemento fondamentale per poter gestire l’iniziativa Open Chair Democracy Talks, che comporta la capacità di entrare davvero in sintonia con ciò che le persone dicono. Una volta stavo ascoltando un rifugiato siriano che mi stava dicendo di non sapere che cosa significasse “libertà”. Ed è stato determinante avere l’apertura mentale per poter ascoltare le sue parole.

VP: La mia età mi ha aiutato perché non ho niente da perdere lottando a favore della democrazia. Questo mi rende molto più energica nel tentativo di far sentire la mia voce. D’altro canto, quando parlo di democrazia con persone più vecchie, e questo accadeva soprattutto quando lo facevo in Russia, queste sono antidemocratiche e mi guardano come una pazza occidentale e liberale. Perché in Russia la parola “liberale” ha una connotazione negativa.

PD: Ho sempre considerato la mia età come un vantaggio perché ho imparato da piccola molte cose sulla democrazia e quando avevo soltanto quattordici anni ho avuto l’opportunità di rappresentare i miei compagni delle superiori al Conseil national de la vie lycéenne [un’iniziativa che aiuta a dare voce ai giovani liceali francesi, ndr]. E da allora non ho fatto altro che continuare a imparare nuove cose.

Che sfide avete incontrato e in che resistenze vi siete imbattuti lungo il vostro percorso?

AM: La mancanza di risorse è una sfida costante e anche gli incontri con i politici sono stati deludenti.

MC: La nostra attività principale è cercare di convincere le persone più vecchie che detengono il potere ad ascoltarci. Molti di loro fanno fatica a cambiare il loro modo di fare. Quest’estate, ad esempio, l’International Youth Think Tank ha trascorso del tempo in una periferia di Göteborg nota per il suo alto tasso di criminalità e per le tensioni razziali. Quando abbiamo discusso con i politici di quella città di quello che avrebbero potuto fare per migliorare la situazione, hanno fatto resistenza davanti alla gran parte delle nostre proposte. Una delle nostre idee era quella di utilizzare un edifico scolastico per far incontrare gruppi etnici diversi in occasione di eventi sociali, come delle cene internazionali, ma non ne hanno neanche voluto sentir parlare. Ci hanno detto che le politiche in atto non possono essere cambiate facilmente e che loro avevano un modo di fare le cose che volevano restasse tale.

VP: Il regime autoritario russo è stato per me la sfida principale, perché è repressivo e non consente la libertà di espressione. Ed è stata una sfida anche la carenza di altri giovani in Russia che si unissero a me nel movimento a favore della democrazia, dal momento che, anche quando ne condividevano la causa, avevano paura delle conseguenze. Conosco numerosi miei coetanei che hanno paura di essere cacciati da scuola se esprimono il loro punto di vista democratico. E pensano che sia più prudente starsene quieti.

PD: Essendo cresciuta nella Francia rurale, ero lontana dal centro del potere, che è Parigi. La capitale è a quasi quattro ore di macchina da casa mia e quindi ho dovuto convincere i miei genitori a lasciarmi viaggiare da sola già da piccola per svolgere il mio ruolo presso il Conseil national. Inoltre, ho dedicato un sacco del mio tempo al movimento democratico ed è stato difficile trovare un equilibrio con il tempo da dedicare alla scuola e alla vita sociale. È stata una cosa che mi ha richiesto una certa attenzione.

Quale parte del mondo suscita maggiormente la tua preoccupazione quando si parla di minacce alla democrazia?

AM: L’Europa e gli Stati Uniti. Sono luoghi decisamente democratici ma i movimenti di estrema destra sono in forte ascesa e sono sempre di più i politici che arrivano al potere senza che vogliano fare nulla per mantenere in buona salute la democrazia.

MC: L’Italia, che è il posto da cui vengo. Il Paese sta spostandosi sempre di più verso l’estrema destra e i diritti fondamentali vengono minacciati.

VP: Senz’altro la Russia. Se la brutale dittatura che c’è ora non verrà rovesciata, il Paese non vedrà mai la democrazia.

PD: La democrazia è sotto attacco in tutto il mondo. Tuttavia, se devo scegliere un Paese, dico gli Stati Uniti. Per il razzismo, le disuguaglianze di genere e i diritti riproduttivi che sono sempre più minacciati. La situazione in America è un’anteprima di quello che potrebbe succedere ad altre democrazie di tutto il mondo.

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