L’INTERDIPENDENZA CI APRE A OGNI TIPO DI VULNERABILITÀ, CI METTE IN POSIZIONE DI DEBOLEZZA” CONFLITTI PERMANENTI

- TRA I PENTITI DELLA GLOBALIZZAZIONE C’E’ ANCHE MARK LEONARD, DIRETTORE DELL’EUROPEAN COUNCIL ON FOREIGN RELATIONS

6.2.2023dagospia.com  lettura3’

“PENSAVAMO CHE L’INTERDIPENDENZA AVREBBE TRASFORMATO I NEMICI IN AMICI E CREATO UN MONDO SENZA CONFLITTI: ABBIAMO CAPITO CHE NON E’ COSI’ - PRIMA IL MODO DI AVERE CONFLITTI SI CONCENTRAVA ATTORNO A TERRITORI, MA ORA SI POSSONO AVERE CONFLITTI SENZA COINVOLGERE SOLDATI, TRASFORMANDO LE FORNITURE DI ENERGIA, I RAPPORTI COMMERCIALI, I MOVIMENTI DELLE PERSONE IN ARMI. QUESTO SIGNIFICA CHE HAI CONFLITTI PERMANENTI”

Estratto dell’articolo di Luigi Ippolito per “la Lettura – Corriere della Sera”

Ci eravamo illusi che la globalizzazione sarebbe sfociata nell’epoca della pace perpetua e invece, come recita il titolo del libro di Mark Leonard, direttore dell’European Council on Foreign Relations, siamo finiti nell’ Era della non-pace . E la ragione sta nel sottotitolo: Perché la connettività porta al conflitto.

Insomma, ci avevano detto che la storia era finita, che il mondo era piatto: che cos’è andato storto?

«Le forze che […] dovevano mettere fine alla storia e creare una comunità globale, hanno un gemello malvagio che ci allontana gli uni dagli altri e crea tensioni e vulnerabilità. […] Se pensiamo alle spinte che dovevano mettere fine alla storia […] il primo era il commercio: e questo ora è diventato un terreno di battaglia con sanzioni e controlli tecnologici. Se pensiamo alle migrazioni, che dovevano creare un villaggio globale, hanno portato invece a tensioni per il modo in cui cambia la demografia dei Paesi di arrivo; ma è anche stata trasformata in un’arma politica, come ha fatto Vladimir Putin. La tecnologia e internet dovevano creare un mondo unito ma alla fine abbiamo visto polarizzazione […]».

Lei scrive quindi che la distinzione fra guerra e pace è ormai obsoleta.

«Queste forze della globalizzazione ci hanno dato un insieme di armi che non avevamo prima. È per questo che la distinzione è obsoleta, perché prima il modo di avere conflitti si concentrava attorno a territori, ma ora si possono avere conflitti senza coinvolgere soldati, trasformando le forniture di energia, i rapporti commerciali, i movimenti delle persone in armi. Questo significa che hai conflitti permanenti […]. Ora puoi non avere una guerra formale ma allo stesso tempo, invece di una pacifica età dell’oro, hai tante tensioni e conflitti: […] le stesse relazioni che abbiamo gli uni con gli altri vengono trasformate in armi».

Perché la guerra in Ucraina è l’incarnazione dei conflitti di connettività?

«Quello in Ucraina a un primo livello appare come un conflitto alla vecchia maniera, […]: ma allo stesso tempo il modo e le ragioni per cui si combatte sono totalmente differenti. Ciò che ha causato la guerra è stata […] la connessione dell’Ucraina con l’Occidente […]. […] più importante è che il modo in cui la guerra viene combattuta ruoti attorno a tecnologia e connessioni […] […] la maggiore pressione esercitata sulla Russia è stata attraverso le sanzioni e i controlli sulla tecnologia, mentre la risposta russa è stata fatta tramite cyberattacchi, manipolazione dei prezzi dell’energia e milioni di rifugiati. […]».

Anche questa guerra finirà con uno stato permanente di non-pace?

«È molto difficile vedere come si possa arrivare a un trattato di pace formale fra Kiev e Mosca […] questo livello di tensione continuerà: perciò sarà molto difficile per gli europei tornare al mondo in cui vivevamo prima del 24 febbraio 2022».

Proprio l’Europa aveva scommesso più di tutti sulla portata benefica della globalizzazione: deve ripensare il suo ruolo?

« […] La Ue è un progetto di pace disegnato attorno all’idea di rendere la guerra impossibile, ma ora l’integrazione europea è spinta avanti dalla guerra. […] […] la questione dell’interdipendenza, che pensavamo avrebbe trasformato i nemici in amici e avrebbe creato un mondo senza conflitti: ora abbiamo capito che l’interdipendenza ci apre a ogni tipo di vulnerabilità, ci mette in posizione di debolezza».

[…] «[…] È interessante che i due Paesi più centrali nella globalizzazione, Gran Bretagna e Stati Uniti, siano quelli che hanno visto la più grande rivolta contro di essa. Sono giunto alla conclusione che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato riguardo all’ottimismo dell’interdipendenza: non perché non creda che l’integrazione sia una cosa meravigliosa, ma c’è un lato oscuro, ed è il fatto che crea perdenti oltre che vincitori. […] abbiamo bisogno di una nuova politica: non costruire muri ma rendere l’interdipendenza sicura. […] La divisione non dovrebbe essere fra nazionalisti e globalisti, ma fra connettività regolata e non regolata»

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata