Le catene della sinistra sull'immigrazione
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Quelle scomode verità che i liberal non vogliono più discutere per colpa del conformismo culturale, del paternalismo ideologico e delle pressioni economiche. Una radicale autocritica, da sinistra
di Peter Beinart - The Atlantic 17 Luglio 2017 alle 08:58 da www.ilfoglio.it
Scrive The Atlantic (luglio-agosto)
C’è un mito che i liberal come me trovano attraente, ed è quello secondo cui in questi anni soltanto la Destra sarebbe cambiata”. Inizia così il lungo saggio di autocritica sull’immigrazione firmato da Peter Beinart e pubblicato dalla rivista The Atlantic. “Nel giugno 2015 – così ci siamo continuati a raccontare noi liberal – Donald Trump è sceso al piano terra con il suo ascensore dorato e improvvisamente il nativismo, filone già da tempo presente nella politica conservatrice, lo ha inghiottito. Ma questa è soltanto una parte della storia. Se la destra è diventata più nazionalistica, la sinistra lo è diventata ancora meno di quanto non lo fosse. Dieci anni fa i liberal si facevano domande sull’immigrazione in una maniera tale che oggi causerebbe uno choc ai progressisti”.
Di default oggi gli economisti liberal sostengono i benefici economici dell'immigrazione.
Ma la discussione non è poi così unanime
“Nel 2005, un blogger di sinistra scrisse: ‘L’immigrazione illegale provoca devastazione dal punto di vista economico, sociale, culturale; è una presa in giro dello stato di diritto ed è una disgrazia anche solo in base al senso di giustizia più basilare’. Nel 2006, un columnist liberal scrisse che ‘l’immigrazione riduce i salari dei lavoratori domestici che competono con gli immigrati’ e che ‘il fardello fiscale degli immigrati con uno stipendio basso è anche piuttosto evidente’. Conclusione dell’editorialista: ‘Dobbiamo ridurre il flusso di immigrati poco qualificati’. Sempre nel 2006, un senatore del Partito democratico scrisse: ‘Quando vedo sventolare le bandiere messicane alle manifestazioni pro immigrazione, sento una vampata di risentimento patriottico. Quando sono costretto a ricorrere a un traduttore per comunicare con il signore che mi ripara l’automobile, provo una certa frustrazione’. Il blogger era Glenn Greenwald, il columnist era Paul Krugman e il senatore era Barack Obama”. Il punto è che “autorevoli liberal non si opponevano all’immigrazione un decennio fa. La maggior parte di loro riconosceva come essa portasse benefici all’economia e alla cultura americana. Gli stessi erano a favore della concessione ai clandestini di una strada per diventare cittadini. Eppure questi liberal affermavano che gli immigrati meno qualificati deprimevano gli stipendi degli americani altrettanto poco qualificati e mettevano a dura prova il welfare degli Stati Uniti. Rispetto a oggi, prima c’erano molte più probabilità di sentirli dire – per citare Krugman – che ‘l’immigrazione è un tema particolarmente spinoso perché mette in conflitto princìpi fondamentali’. Oggi, invece, rimangono poche tracce di quelle sfumature nel ragionamento. Ancora nel 2008, la piattaforma del Partito democratico parlava degli immigrati illegali come dei ‘nostri vicini’, ma poi metteva in guardia: ‘Non possiamo continuare a consentire alle persone di entrare negli Stati Uniti senza documenti, senza controlli. Quelli che attraversano i nostri confini illegalmente, e quelli che danno loro lavoro, vanno contro lo stato di diritto’. Nel 2016 questo linguaggio era scomparso. La piattaforma programmatica del Partito democratico descriveva come ‘un problema’ il sistema americano dell’immigrazione, ma non l’immigrazione illegale in sé. Poi si concentrava in maniera pressoché totale sulle forme di contrasto dell’immigrazione che i Democratici avversavano. La piattaforma del 2016 nemmeno usava la parola ‘illegale’ o qualunque variazione sul tema. ‘Uno o due decenni fa’, spiega Jason Furman, già capoeconomista di Obama alla Casa Bianca, “i Democratici erano divisi sull’immigrazione. Adesso sono tutti d’accordo, tutti appassionati e tutti riflettono molto poco su eventuali conseguenze negative’. Come è successo?”. Dietro questo “liberal shift”, scrive Beinart sull’Atlantic, ci sono varie spiegazioni. La prima: nei due decenni che hanno preceduto il 2008, il numero di immigrati illegali è continuato ad aumentare di molto negli Stati Uniti, poi si è essenzialmente stabilizzato. Però se è vero che il numero di questi immigrati è rimasto comunque elevato, “le preoccupazioni di tipo economico che Krugman sollevò 10 anni fa rimangono cruciali ancora oggi”.
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“I liberal piuttosto devono prendere sul serio la voglia di coesione sociale che hanno gli americani. Per promuovere allo stesso tempo un’immigrazione di massa e una maggiore redistribuzione economica, devono convincere un numero maggiore di americani bianchi nativi del fatto che i nuovi arrivati non indeboliranno i legami dell’identità nazionale. Ciò vuol dire rispolverare un concetto che in molti, a sinistra, odiano: l’assimilazione”.
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