Troppo educati per lavorare

Si parla di sovraistruzione quando un laureato svolge il lavoro di un diplomato. Ma quanti sono in Italia gli overeducated?

13.8.2016 Floro Ernesto Caroleo e Francesco Pastore, La Voce info

Si parla di sovraistruzione quando un laureato svolge il lavoro di un diplomato. Ma quanti sono in Italia gli overeducated? E a che tipo di laurea appartengono? Essere in questa condizione costa: al singolo, ma anche alla società nel suo complesso. Cosa si potrebbe fare per superare il fenomeno.

UNO SPRECO DI CAPITALE UMANO

L’Italia è molto al di sotto degli obiettivi sul livello di istruzione secondaria superiore e terziaria fissati dall’Unione Europea nell’ambito di Europa 2020. Nel corso degli anni, il dibattito si è soffermato sulle cause e i possibili rimedi del basso livello di istruzione, mentre poca attenzione è stata dedicata al fenomeno della sovraistruzione, che si verifica quando un laureato lavora come diplomato.

Quanti sono gli overeducated in Italia? A che tipo di laurea appartengono in misura maggiore? Quanto costa essere overeducated? Come evitare che i giovani cadano in questa condizione? L’overeducation è una forma di spreco di capitale umano per l’individuo, la famiglia, l’università e la società nel suo complesso. L’investimento in capitale umano è estremamente costoso e aiutare le famiglie nelle loro scelte dovrebbe essere un obiettivo fondamentale del sistema di istruzione, non meno della formazione in sé e per sé.

Proponiamo qui una evidenza empirica abbastanza affidabile sul fenomeno dell’overeducation in Italia, fondata sui dati AlmaLaurea., e allo stesso tempo, cerchiamo di riflettere sulle cause, sulle conseguenze e i possibili rimedi. (1)

IL FENOMENO

Nei dati a disposizione, l’overeducation si verifica quando il titolo di studio non è stato necessario per acquisire il posto di lavoro, mentre l’overskilling si verifica quando le competenze acquisite nel percorso di studio non sono utili allo svolgimento del proprio lavoro.

Queste definizioni non devono trarre in inganno. L’overeducation e l’overskilling non denotano necessariamente troppo capitale umano, ma esattamente il contrario. Per capire l’arcano, va considerato che il capitale umano è costituito non solo dall’istruzione, ma anche dall’esperienza lavorativa generica, cioè trasferibile da un lavoro all’altro, e specifica, cioè acquisibile solo in un certo tipo di posto di lavoro. Il punto è che i nostri laureati hanno molte conoscenze teoriche, ma poche competenze pratiche, ciò che li spinge a lavorare in posti di lavoro che non utilizzano neppure le loro competenze teoriche.

L’overeducation e l’overskilling persistono anche a cinque anni dalla laurea con percentuali dell’11,4 e dell’8 per cento rispettivamente. La figura 1 riporta le percentuali per tipo di laurea, che resta senz’altro la determinante più importante sia dell’overeducation che dell’overskilling. L’overeducation oscilla fra zero e il 2,8 nel caso di medicina, architettura, chimica e farmacia, ingegneria e scienze; è invece oltre il 10 per cento per geologia e biologia (10,2 per cento), educazione fisica (12,2 per cento), lingue (13,2 per cento), scienze politiche (14 per cento) e letteratura (17,9 per cento). L’overskilling segue all’incirca lo stesso pattern, con una percentuale leggermente maggiore in ciascun tipo di percorso di studio.

La qualità della preparazione universitaria, misurata dal voto di laurea, ma anche dalla durata degli studi e dalla formazione post-lauream, incide molto sulla probabilità di overeducation/overskilling, suggerendo che l’overeducation dipenda non solo dalla bassa domanda di laureati, ma anche da una formazione poco orientata allo sviluppo di competenze spendibili nel mondo del lavoro.

Le esperienze formative post-laurea, la frequenza di corsi di formazione avanzata e di master rappresentano una sorta di assicurazione contro la probabilità di sovra-istruzione, confermando così l’importanza di rafforzare quelle istituzioni formative capaci di aumentare le competenze specifiche che i laureati non potrebbero acquisire altrimenti, né frequentando l’università né sul posto di lavoro

Le donne sono più spesso overeducated/overskilled, ma quando controlliamo per il tipo di laurea, la loro differenza in termini di rischio di overeducation si annulla poiché è colta già dal percorso di studi. In altri termini, le ragazze scelgono in prevalenza lauree che hanno un maggior rischio di overeducation.

Il background familiare caratterizzato da un livello di istruzione basso aumenta il rischio di overeducation, suggerendo che il nostro sistema, all’apparenza aperto a tutti, in realtà tende a perpetuare la struttura sociale esistente.

LA PENALITÀ SALARIALE

Un overeducated/overskilled guadagna fra il 15 e il 25 per cento meno della media dei laureati, proprio perché lavora in un posto per diplomato e usa poco le competenze acquisite all’università. Se si controlla per le caratteristiche osservate dei laureati, la penalità salariale scende al 12 per cento per l’overeducation e al 7 per cento circa per l’overskilling. Ciò conferma che i sovraistruiti hanno caratteristiche del capitale umano inferiori alla media. E spiega in parte perché guadagnano meno degli altri laureati.

Correggendo per il possibile errore nella selezione del campione, dovuto al fatto che non si considerano i laureati non occupati, si è stimato che la penalità aumenta di poco più dell’1 per cento: ciò suggerisce che, come ipotizzato dal job competition model e dal job assignment model, i disoccupati hanno un capitale umano di qualità leggermente inferiore rispetto agli occupati e quindi avrebbero una maggiore probabilità di essere overeducated/overskilled se occupati.

CHE FARE

Quanto ai rimedi, vanno considerati sia quelli dal lato della domanda sia quelli dal lato dell’offerta di capitale umano. Dal lato della domanda, è evidente che se ci fosse un tipo di sviluppo economico più orientato a produzioni che usano lavoro ad alta qualifica, la domanda di lavoro per i laureati sarebbe più alta, riducendo la quota degli overeducated/overskilled. Ma per aumentare la domanda occorre anche aumentare l’offerta di capitale umano: lo sviluppo tecnologico a favore delle alte qualifiche è endogeno e si sviluppa quando il capitale umano è abbondante e perciò a buon mercato.

Dal punto di vista dell’offerta, la nostra analisi suggerisce la necessità di intervenire sia sulle istituzioni che regolamentano la transizione scuola-lavoro sia sulle caratteristiche individuali dei giovani. In primo luogo, occorre aumentare la qualità dell’istruzione terziaria e del capitale umano in generale. Non è sufficiente aumentare la percentuale di laureati se questi hanno poi competenze poco collegate al mondo del lavoro. Un miglioramento della qualità dell’istruzione si potrebbe ottenere anche dando piena attuazione al processo di Bologna. Occorre, innanzitutto, rilanciare il percorso del 3+2, con una laurea triennale generalista, orientata al lavoro, con percorsi anche di formazione in azienda, e pieno riconoscimento del titolo di studio nel mondo del lavoro. Invece, il biennio deve essere fortemente specialistico e consentire percorsi di alto profilo, ma pur sempre con formazione in azienda, quando il corso di laurea non è strettamente rivolto alla formazione accademica.

Per coloro che sono fuoricorso oppure abbandonano il percorso universitario principale, bisogna fornire la possibilità dell’università professionalizzante, come in Germania. Spesso il ritardo e l’abbandono universitario sono una conseguenza della scarsa motivazione, dovuta al tempo troppo lungo che occorre per conseguire il titolo e alla scarsa utilità pratica dello stesso percepita dallo studente.

In secondo luogo, occorre migliorare l’attività di orientamento nella scelta degli studi in tutte le fasi del percorso universitario, sia prima, che durante e dopo. Nella fase post-lauream, occorre incentivare l’utilizzo delle competenze teoriche acquisite. Uno strumento potrebbe essere l’apprendistato per l’alta formazione, previsto dal Testo unico del 2011.

(1) Questo articolo è una sintesi di un lavoro più ampio e dettagliato: Caroleo, F.E. e F. Pastore (2013), “L’overeducation in Italia: le determinanti e gli effetti salariali nei dati AlmaLaurea”, Scuola democratica, in corso di pubblicazione

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