Leggere l'Enclica Laudato si' per boicottare il referendum truffa sulle trivelle
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Perché il voto del 17 aprile nel migliore dei casi taglierà le gambe a un'industria ben sviluppata in Italia, sicuramente non ridurrà l'inquinamento. Ragioni per sostenere l'appello fogliante di Sapelli, Forte, Debenedetti, Vitale, Testa, Filippini e molti altri (adesioni a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)
Una piattaforma di estrazione nel mare Adriatico
di Salvatore Carollo | 21 Marzo 2016 ore 15:20
Giustamente, i vescovi italiani, in vista del voto del 17 aprile prossimo, hanno fatto un richiamo al messaggio della recente enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”. E’ proprio questo richiamo che merita di essere approfondito con rispetto ed attenzione, evitando di banalizzare il messaggio ecumenico dell’enciclica, rivolto alla creazione di un equilibrio mondiale in cui il rispetto dell’ambiente sia coniugato con il superamento della povertà umana a tutti i livelli, per utilizzarlo strumentalmente nella “piccola” vicenda referendaria italiana. Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri".
Cercando quindi di far propria la valenza nobile ed universale del messaggio della Chiesa, la decisione concreta sul cosa fare il 17 aprile, credo vada presa sulla base delle risposte a tre domande precise. Con la eventuale vittoria del "sì:
1. si determinerebbe un miglioramento dell’ambiente e delle condizioni di vita del nostro Paese?
2. si darebbe un contributo positivo al miglioramento dell’ambiente globale del pianeta?
3. si contribuirebbe alla diminuzione del livello della povertà nel mondo?
Dalla risposta a queste domande ed in coerenza con lo spirito del messaggio di Papa Francesco, dovrebbe discendere l’atteggiamento verso il voto referendario. Proviamo quindi ad entrare nel merito.
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Credo che la risposta più efficace e semplice alla prima domanda venga dalla storia del nostro paese. Se sfogliamo l’album fotografico dell’Italia prima della metanizzazione voluta ed avviata da Enrico Mattei, vediamo un paese povero, con centri dell’entroterra appenninico completamente isolati e privi di qualsiasi fonte energetica, senza alcuna speranza per il loro futuro. Un processo di grave deforestazione di tutti i boschi con crescenti pericoli per l’ambiente e la sicurezza idrogeologica. In piccolo, lo stesso fenomeno che sta avvenendo oggi nel Terzo Mondo con tutte le foreste pluviali. E’ stata la scoperta degli idrocarburi in Italia (allora Val Padana, Adriatico e Sicilia) a ribaltare la situazione. Ha consentito la nascita dell’Eni ed intorno ad esso di una miriade di aziende che, partendo dal business nazionale, hanno sviluppato tecnologie d’avanguardia. Ora, non solo lavorano in Italia continuando a sviluppare tecnologie a supporto delle nostre attività di ricerca e produzioni di idrocarburi, ma sono riuscite a diventare anche leader in molti paesi del mondo. Tutto grazie al prestigio che l’industria nazionale ha raggiunto nelle attività’ sul nostro territorio, con gli standard di eccellenza tecnologica, di rispetto ambientale e sicurezza garantiti. Una eventuale vittoria del "sì" al referendum imporrebbe la fermata della produzione di campi a gas, già funzionanti in piena sicurezza e in modo redditizio e finirebbe con bloccare il motore che ha finora consentito alle oil companies di investire in Italia ed utilizzare le imprese dell’indotto.
Il fenomeno sta già verificandosi a Ravenna ed in Adriatico. Se dovesse prevalere il "sì", il fenomeno si propagherebbe a valanga su tutte le attività nazionali, con la fuga delle compagnie straniere (che già lo stanno facendo) e il taglio degli investimenti nel territorio italiano da parte delle compagnie italiane (anche questo già iniziato).
Qualcuno afferma che, in fondo, per sostituire la poca energia derivante dagli idrocarburi nazionali, bastano piccoli incentivi per aumentare la produzione da fonti rinnovabili. Facciamo qualche conto. Gli idrocarburi che verrebbero a mancare, in tempi brevi, ammontano a 2,5 milioni di TEP (tonnellate equivalenti di petrolio) all’anno. Per sostituire questa energia, occorrerebbe installare circa 4000 pale eoliche o coprire di pannelli solari una superficie di 10 mila ettari di suolo. L’impatto sull’ambiente sarebbe terribile. C’è di più. Tutti questi componenti (pannelli solari) si basano su tecnologie di aziende straniere e quindi non contribuiranno al miglioramento della qualità del lavoro in Italia ed indeboliranno la bilancia dei pagamenti. E, paradossalmente, dovremo comunque importare gli idrocarburi persi, perché’ avremo ancora bisogno di combustibili per il trasporto. Gli aerei, i TIR, i SUV, i traghetti, le autovetture avranno bisogno di continuare ad essere alimentati con benzina e gasolio. In conclusione, smetteremmo di produrre qualcosa di valore che abbiamo e che alimenta il nostro sistema di imprese, per ridurci a comprare tutto dall’estero, combustibili e pannelli solari. E non scordiamo che pannelli e pale eoliche necessitano di incentivi pubblici, ovvero un aumento delle tasse ai cittadini. Certamente non daremmo un contributo al miglioramento delle condizioni dell’ambiente e delle condizioni di vita del Paese.
La seconda questione riguarda l’attenzione al problema dell’ambiente a livello globale del pianeta, così come chiaramente emerge nel messaggio del Papa. La vittoria del "sì" al referendum aprirebbe un problema grave di coerenza per tutti i cattolici. Fermare la produzione nazionale di idrocarburi, contando sul fatto che altri paesi sarebbero comunque obbligati a produrli ed esportarli verso il nostro paese, non ha senso etico. Se la produzione di idrocarburi non inquina (e di fatto non inquina), allora non c’è ragione di fermarla in Italia. Se, invece, come dice Greenpeace, inquina, allora occorre fermarla in tutti i mari del mondo, senza eccezione. Perché gli ambientalisti ritengono che il mare di fronte all’Egitto, Libia, Algeria, Norvegia, Inghilterra, Olanda, Congo, Angola, Nigeria, Mozambico… non vada protetto, mentre il nostro si? Non si tratta dello stesso pianeta terra, non si tratta degli stessi esseri umani? Per sciogliere questa contraddizione, i sostenitori del SI dovrebbero proporre, in modo esplicito e trasparente, un taglio consistente, per legge, dei consumi petroliferi, ovvero dei trasporti. Da subito, tagliare il numero dei voli, il numero dei TIR in circolazione, bandire le autovetture che consumano troppo, abbattere il limite di velocità a 30 km/h in città e 50 in autostrada, e così via dicendo. Perché non lo si fa?
Una risposta coerente alla seconda domanda permetterebbe di individuare la risposta alla terza. Oggi l’energia costa troppo, perché la producono in pochi e la vogliono consumare in molti. I referendari propongono, egoisticamente, di tagliare la produzione nazionale e diminuendo ulteriormente l’offerta di energia ed aumentano la competizione fra i consumatori. Il risultato sarebbe quello di dare un sostegno al mantenimento di prezzi alti per l’energia. In tal modo, si continuerebbe ad escludere dal suo consumo miliardi di esseri umani, spesso, cittadini dei paesi produttori di idrocarburi da cui importiamo gas e petrolio.
In conclusione, votare "sì" al referendum, non contribuisce a migliorare l’ambiente e le condizioni di vita nel nostro paese, non contribuisce a migliorare l’ambiente globale del pianeta, contribuisce ad aggravare le condizioni di povertà della popolazione del pianeta. Esattamente l’opposto di quanto si auspica nell’Enciclica di Papa Francesco. Ancora una volta, ignoriamo questi venditori di bufale, privi di qualunque coerenza e rispetto per l’ambiente e del paese. Asteniamoci dal voto il 17 aprile.
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