Il futuro è delle città
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Il nostro speciale domenicale, dedicato alla «più grande invenzione dell’umanità»
Francesco Cancellato, Linkiesta, 6.4.2015
Il Kowloon District di Honk Kong, in una foto notturna (Credits: Alex Ogle/AFP/Getty Images)
L'idea è dell'economista americano Paul Romer, uno dei più brillanti in circolazione. Perché, si chiede Romer, gli studenti di grandi città africane come Nairobi o Lagos sono costretti a studiare sotto i lampioni dell'aeroporto perché non hanno elettricità nelle loro case, ma hanno un telefono cellulare in tasca. Regole: questa è la risposta che si da Romer. Esistono buone regole e cattive regole, dice. Il problema è cambiare le regole cattive, spiega, cosa molto più difficile di quanto sembri. Più facile, semmai, è crearne di nuove. Ci è riuscita Singapore, ad esempio. O Hong Kong. O Dubai. Tre città, con regole diverse da tutto ciò che le circonda.
Le charter city non sono altro che la nuova forma attraverso cui le città stanno prendendosi la loro rivincita sugli Stati
Paul Romer le chiama charter city, città extraterritoriali, non sottoposte alle leggi di quel Paese ma a tavole di regole sottoscritte e rispettate da chi ci va ad abitare. Città-Stato, le potremmo definire, mutuando la denominazione dalle polis greche o dai comuni medievali. E forse, è vero, le charter city non sono altro che la nuova forma attraverso cui, nell'andamento ciclico della storia, le città stanno prendendosi la loro rivincita sugli Stati.
Edward Glaeser - che Linkiesta ha intervistato non più di una settimana fa - ha sostenuto nel suo saggio chiamato “Il trionfo delle città” che oggi sono i grandi centri urbani «esaltano le forze dell’umanità». Che moltiplicano le interazioni tra idee geniali, che attraggono i talenti e i capitali, che sono l'unico luogo in cui si può elevare il proprio status sociale. Oggi nel mondo ci sono undici città con più di dieci milioni di abitanti, trentaquattro con più di cinque milioni. La metropolizzazione dell'umanità è un fatto storico ineludibile. La loro idiosincrasia a sottostare alle leggi degli Stati che hanno attorno - pensate a Londra e all'Inghilterra - altrettanto.
C'è chi pensa che prima o poi tutta l'umanità finirà per coagularsi attorno a pochi enormi centri urbani
Qualcuno pensa che il grande scontro sociale prossimo venturo sarà tra gli abitanti delle città e quelli delle terre ad essere circostanti. C'è chi pensa che questo conflitto non avrà mai luogo, che prima o poi tutta l'umanità finirà per coagularsi attorno a pochi enormi centri urbani. Qualcun altro, come Paul Romer, pensa che siano gli Stati stessi che dovrebbero farsi carico di costruire delle charter city sul loro territorio, offrendo la possibilità di costruire da zero le loro regole, a misura di chi le vuole abitare o di chi ci vuole investire. Per poi diffonderle altrove, per osmosi.
Qualunque cosa succeda, insomma, il futuro è delle città e di chi le abita. Meglio cominciare a farsene una ragione.