Cipollini, un fiume in piena: “Corridori svegliatevi e riprendetevi il ciclismo che vi è stato strappato”
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Re Leone pungente e polemico durante la presentazione delle 2 tappe del Giro a Pinerolo «Il doping? Maradona è come un Dio, Pantani invece è sotto terra: dov’è l’errore?»
27/02/2016 GIORGIO VIBERTI PINEROLO La Stampa
Mario Cipollini, 49 anni fra meno di un mese, l’altra sera a Pinerolo, durante la presentazione della due tappe del prossimo Giro d’Italia che toccheranno la Città della Cavalleria, è stato brillante e simpatico - come sempre - sul palco degli invitati, ma anche pungente e molto critico, e anche questa è sempre stata una delle sue caratteristiche, dietro le quinte.
Cipollini, le piace questo nuovo ciclismo senza frontiere, dall’Argentina all’Australia, dagli Emirati Arabi alla Cina?
«Il mondo cambia e cambia anche il ciclismo. Ci lamentiamo di Internet? Forse qualcuno sì, ma poi lo usano tutti. E allora è inutile lottare contro il tempo che passa. Anche i nostri figli sono molto diversi da come eravamo noi alla loro età, non per questo però li rinneghiamo o li cacciamo di casa».
Quindi le sta piacendo anche questo inizio di stagione?
«Nibali vince in Oman, Valverde nella Ruta del Sol in Spagna, Froome alla prima corsa in Australia, Contador in Portogallo: quando mai a febbraio abbiamo visto quattro potenziali vincitori di grandi giri imporsi fin dall’inizio della stagione? Per lo spettacolo è un cosa bellissima».
Invece al Trofeo Laigueglia, che una volta era una classica importante di apertura con tutti i migliori al via, questa volta c’erano pochissimi big. Addio ciclismo della vecchia Europa?
«Il ciclismo, come il mondo, va dove ci sono i soldi, dove c’è business. Se in Italia non ci sono, perché restarci? Impossibile combattere contro i poteri economici più forti».
Quindi va bene così? Corse in tutto il mondo, anche senza cultura ciclistica nè tradizione, basta che qualcuno paghi?
«Non ho detto questo. Devono essere i corridori a imporsi, senza andare soltanto dietro i grandi ingaggi. Tornino a prendere in mano il ciclismo, che è loro e di nessun altro, e lo strappino agli organizzatori delle corse, ai procuratori, ai centri di potere in genere».
E come si fa? Ci vorrebbero dei nuovi Cipollini in gruppo, dei leader carismatici, dei sindacalisti che sappiano unire tutti i corridori...
«Ricordo che una volta fui convocato addirittura dal presidente della Rai perché avevo minacciato uno sciopero, ma come me ce n’erano altri che si facevano sentire. Gente come Argentin, Saronni e Moserone mandarono a quel paese tanti boss o presunti tali. Adesso invece i corridori si sentono minacciati e ricattati, basta poco per renderli mansueti e per strumentalizzarli».
Che fare allora?
«Ci vogliono associazioni di corridori più forti. Fare io il leader? No, per carità. Non sono abbastanza diplomatico, a me scappa subito la pazienza. Ma i corridori devono tornare al centro del ciclismo e decidere loro quali corse rendere più importanti e quali no, come correre, con quali misure di sicurezza, come dividere le entrare, per esempio sui diritti tv che nel ciclismo praticamente non esistono. Ma vi sembra logico?».
Il ciclismo però in questi anni si è fatto male da solo, con il problema del doping....
«Balle! Perché il calcio e lo scandalo Uefa e Fifa? Il doping e le coperture nell’atletica? Gli incontri truccati nel tennis? Il marcio c’è ovunque e quindi anche nello sport, ma non solo nel ciclismo. E poi mi spiegate perché uno come Maradona, che ha certo fatto uso di stupefacenti, vive da nababbo in Dubai e appena si muove è osannato da mezzo mondo, mentre Pantani è sotto terra? C’è qualcosa che non torna...».
Che cosa non torna?
«I potere economici forti sono sempre protetti e si salvano comunque, il ciclismo evidentemente non ne ha abbastanza. Altrimenti perché Renzi non è andato a trovare Nibali in trionfo a Parigi dopo il Tour vinto nel 2014 o Aru dominatore a Madrid della Vuelta 2015? Però dalla Pennetta a New York è andato.... È giusto? Siamo figli di un Dio minore? I corridori devono farsi furbi, se no saranno sempre dei perdenti e delle vittime».
Se però si mettono a usare anche le bici a motore diventano indifendibili...
«E’ un altro problema su cui meditare. Possibile che nessuno sapesse? O forse si sapeva ma c’erano sotto altri interessi? Io la vedo così: quando si sono resi conto che il fenomeno stava sfuggendo di mano hanno preso come capro espiatorio il primo pesce piccolo, una ragazzina belga del ciclocross, per dire al mondo: adesso basta, che di qui in poi chi sgarra è fuori. Vi sembra un modo serio di affrontare un problema che esisteva già da molti anni?».
Intanto però il vecchio ciclismo italiano, che una volta faceva scuola e dettava legge, adesso ha una sola squadra nel World Tour, il Team Lampre, e sempre meno “potere sindacale”. Che fare, allora?
«Sono andato personalmente da Silvio Berlusconi per chiedergli un aiuto. SEcondo me dovremmo cercare di formare una squadra “italiana” come lo è l’Orica per l’Australia, la Sky per l’Inghilterra, la Katusha per la Russia, l’Astata per il Kazakistan e così via. Chiamiamola, che so, “Roma” e concentriamo lì gli investimenti dei nostri imprenditori. Per esempio la Segafredo, che è appena andato a finanziare la Trek, magari sarebbe stata interessata. E anche Nibali e Aru potrebbero rispondere “presente”».
E che cosa le ha detto Berlusconi?
«Che lui adesso non si può esporre economicamente, ma che cercherà amici che lo facciano per lui. A me non importa chi sarà, a me vanno bene tutti: il Governo, Berlusconi, Della Valle o qualsiasi altro industriale. Ma salviamo il nostro ciclismo, perché fa parte della cultura e della storia del nostro Paese».