Perché la meravigliosa religione occidentale
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del Corpo batte 6 a 0 il ridicolo sport biologico e antidoping. Perché mai in un mondo in cui vale tutto, coloro che per ruolo incarnano la religione sociale di tutti, dovrebbero essere gli unici cui è vietato lavorarci, sul proprio corpo?
di Maurizio Crippa | 03 Dicembre 2015 ore 19:16 Foglio
Caitlyn Jenner era uno splendido decatleta, oro a Montréal ’76, col nome di Bruce, finché qualche mese fa s’è presa la copertina di Vanity Fair e ha detto: “Call me Caitlyn”. Caitlyn non s’è mai dopata, è sicuro. Aveva un corpo magnifico allora e ce l’ha adesso, 65 anni e un look diverso. Il risultato finale è questo: oggi è il simbolo del Corpo realizzato molto più di quando aveva i muscoli scolpiti di un eroe greco. Caitlyn riassume in sé i valori reconditi delle divinità d’occidente: il corpo, lo sport, la fama, la realizzazione di sé. Soprattutto il Corpo. Di cui fare ciò che si vuole per ottenerne la miglior performance possibile: si tratti di atletica olimpica o professionale, di liposuzione del lato B, di nuova pacificata identità sessuale, di un figlio programmato senza difetti. Esiste un corpo migliore di quello dell’atleta, una materia più malleabile da scolpire, da far progredire? Da lucidare nel culto della bellezza, a costo di doparlo un po’, anzi di programmarne qualche aggiustatina genetica? No. Allora dov’è il danno, dov’è il dolo?
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Qualcuno dovrebbe spiegare perché la procura Antidoping ha chiesto due anni di squalifica per 26 atleti azzurri, accusati di doping presunto (“eluso controllo”). Praticamente il fiore decapitato della gioventù italiana. Lo scorso agosto, il Sunday Times scardinò il sistema dell’atletica mondiale con un’inchiesta basata su un decennio di analisi sangue-urine (12 mila esami, 5 mila atleti) realizzate dalla Iaaf: scoprì che un terzo dei vincitori di medaglie aveva assunto sostanze dopanti. L’inchiesta Doping Capitale, come tutte le inchieste monstre, ha la sua dose di ridicolo, compreso il maxi-processo da celebrarsi al Foro Italico. Soprattutto perché il sospetto è che sia tutto un pasticcio telematico: gli atleti non avrebbero compilato adeguatamente i questionari trimestrali che servono per la reperibilità ai controlli.
Ma tralasciando il ridicolo moralismo anabolizzato delle inchieste, quel che dovrebbe interessare tutti noi che amiamo la libertà dell’occidente, e la difenderemo coi denti, è una piccola, micidiale aporia. Il nostro pensiero sociale, nonché la legislazione che ne deriva, obbedisce a un solo paradigma assoluto: la libera realizzazione di sé attraverso la manipolazione, persino genetica, del proprio corpo. Le finalità sono molte, ma alla fine sono due: piacere e piacersi; far fruttare economicamente quel che siamo o potremmo essere. Lo sport si situa all’esatta congiunzione astrale dei due emisferi: il corpo dell’atleta, come un semidio pagano, è pura bellezza e performance – distinguere tra una gara e una sfilata non è sempre facile. Lo scopo di questo corpo, della sua ostensione, è il suo valore di rendimento economico. Garrincha oggi farebbe fatica a trovare un posto in squadra, Cristiano Ronaldo viene meglio nelle pubblicità. Tutto qui.
Questo detto, l’occidente dovrebbe mettersi d’accordo con se stesso, a costo di fare una giravolta concettuale meglio della deliziosa Caitlyn. Perché mai in un mondo in cui vale tutto, coloro che per ruolo incarnano la religione sociale di tutti, dovrebbero essere gli unici cui è vietato lavorarci, sul proprio corpo? Gli unici bio e a km zero, come l’insalata frusta degli agriturismi? Fate due campionati separati, se ci tenete, di qui gli atletoni ogm, di là i pallidi biologici, come sui banchi del supermercato. Io starei su un gradino di pietra a guardare i visi pallidi, ma il resto del mondo sarà con voi. Bisogna saper scegliere, non sempre si può vincere.
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