Il vero scandalo della Fifa è il suo terzomondismo (interessato)
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Perché il rieletto Blatter controllava i paesi politicamente e/o calcisticamente impresentabili. Logica stile Onu
di Maurizio Stefanini | 29 Maggio 2015 ore 19:39 Foglio
Roma. Fu nel 1975 che con l’austriaco Kurt Waldheim segretario l’Onu dichiarò il sionismo “una forma di razzismo”. E’ il 2015, e con lo svizzero Sepp Blatter presidente della Fifa, è stata presentata da parte dell’Associazione calcistica palestinese la richiesta di espulsione di Israele. “La Fifa dovrebbe dare a Israele il cartellino rosso”, è il titolo di un articolo apparso sul New York Times di giovedì a firma Iyad Abu Gharqoud, giocatore dell’Hilal Al-Quds, squadra di Gerusalemme nella West Bank Premier League e della nazionale palestinese. La differenza è che lo scandalo sul suo passato – in quanto iscritto al partito nazista e ufficiale della Wehrmacht accusato di crimini di guerra in Grecia e Jugoslavia – esplose dopo che Waldheim aveva cessato di essere segretario dell’Onu. Il blitz che ha visto l’arresto di 9 dirigenti della Fifa e di altre 5 persone in vario modo a essi collegate, il cosiddetto Fifagate, è avvenuto invece mentre Blatter è ancora presidente, e pur suscitando un gran trambusto internazionale non ha impedito la sua quinta elezione consecutiva: ieri, alla seconda votazione, la prima aveva dato fumata nera, il principe giordano Ali bin Al Hussei si è ritirato, lasciando campo libero allo svizzero. Ma la logica dei due fatti è piuttosto simile. Come all’Onu, anche alla Fifa è relativamente facile imporre maggioranze terzomondiste e anti-occidentali, mettendo assieme una quantità di rappresentanze di paesi dalla demografia minima e/o dalle credenziali democratiche (e calcistiche) dubbie. Anzi, alla Fifa è più facile, visto che lì numero dei votanti è ulteriormente drogato dal fatto che non ci sono solo gli stati indipendenti, ma anche federazioni che non corrispondono agli stati. Caso palestinese a parte, il presidente della Concacaf Jeffrey Webb, uno degli arresti più clamorosi, è al vertice dell’organizzazione calcistica dell’America settentrionale, centrale e caraibica, in qualità di presidente della federazione delle Isole Cayman. Entità con meno di 60 mila abitanti che non è una nazione, ma un Territorio britannico d’Oltremare.
In generale Blatter nei suoi mandati ha puntato a far crescere l’importanza di Africa, Asia, nord America e Oceania rispetto al tradizionale asse Europa-Sudamerica, egemone nel calcio mondiale. In sé, un fine condivisibile: ma non se il suo risvolto sono gli scandali finanziari appena rivelati. Oppure la Corea del sud spinta a forza alla semifinale del 2002 dal famigerato arbitraggio dell’arbitro Moreno. O il Mondiale assegnato al Qatar e ora fonte continua di denunce e di dossier per le condizioni schiavistiche in cui sono ridotti i lavoratori stranieri impiegati nei lavori. In più, gli Usa all’Onu hanno una chiara possibilità di orientamento garantita dal diritto di veto permanente in Consiglio di Sicurezza, dalla sede a New York e dal ruolo di maggior contributore finanziario. Nel mondo del calcio gli Usa sono invece arrivati con molto ritardo e l’occidente vi è soprattutto rappresentato dall’incerta e vecchia Europa.
E’ stato per prevenire l’espulsione di Israele, in agenda al congresso di Zurigo, che l’Fbi ha surrogato con la sua inchiesta un veto al Consiglio di sicurezza? Questo è stato un tam tam che è corso su varie reti sociali ispirate a punti di vista terzomondisti e islamisti. Oppure è stato “chiaramente un tentativo di bloccare la rielezione di Blatter a presidente della Fifa”, violando “i principi su cui si basa il funzionamento di un organismo internazionale” e imponendo la giurisdizione statunitense su paesi sovrani? E’ quanto ha affermato Vladimir Putin. Il quale, a parte temere per il Mondiale in Russia e avere una questione in sospeso con l’Uefa per lo status della Crimea, nel blitz dell’Fbi legge evidentemente un’estensione al calcio del modello di regime change già imposto in Afghanistan e Iraq con un intervento militare diretto, in Serbia e Kosovo a suon di bombardamenti, in Georgia e Ucraina appoggiando le “rivoluzioni colorate” e in Libia appoggiando una rivolta armata.
Sebbene molte federazioni nazionali e continentali abbiano garantito a Blatter l’appoggio che ha portato alla sua rielezione, l’unico a accodarsi allo schema complottista di Putin è stato il presidente della Federcalcio della Guinea-Bissau, Manuel Nacimento Lopes. Nel mirino delle indagini è finita l’assegnazione ai Mondiali in Sudafrica e in Qatar. Però l’area colpita dal blitz è costituita pressoché integralmente dalle due federazioni di area americana. Ma il terzomondismo latino-americano è forse sceso in campo al fianco di Putin contro lo storico nemico yankee? Affatto. Lasciamo perdere l’ex bomber Romario, che come senatore dell’opposizione aveva già fatto battaglia contro la gestione del Mondiale in Brasile e che ha pesantemente sottolineato la contiguità tra i colpiti dallo scandalo e la presidentessa Dilma Rousseff. Ma perfino Diego Armando Maradona, storico sodale di Chávez, Fidel Castro e Cristina Kirchner, quando ha saputo degli arresti ha detto di “stare godendo”. Pure il presidente boliviano Evo Morales, a sua volta appassionato di calcio ed elargitore di calcio gratis in tv, ha colto l’occasione per proporre una radicale riforma che dia la gestione della Fifa integralmente a calciatori e ex calciatori, iniziando con l’eleggere “uno che abbia giocato un Mondiale”. “Ci sono oggi dirigenti che non capiscono niente né di gioco e né di pallone”. Un altro leader molto popolare a sinistra che aveva avuto espressioni di fuoco contro la Fifa era stato l’ex presidente uruguayano Pepe Mujica, che al tempo della squalifica di Luis Suárez per il morso a Chiellini aveva parlato di “manica di vecchi figli di puttana”, che utilizzavano “metodi fascisti”. Il relativo video sulle reti era diventato virale dopo il blitz. In questi giorni proprio Mujica è in visita in Italia, e dopo aver visto il Papa a Roma ha fatto un bagno di folla per presentare “La felicità al potere”, un libro su di lui scritto dai giornalisti italiani Cristina Guarnieri e Massimo Sgroi. E’ stata appunto per il Foglio l’occasione di chiedergli un commento: “Meglio che mi sto zitto”, è stata la sintetica ma espressiva risposta. “Questa storia è veramente una storia molto triste”. Neanche lui segue Putin.
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