FERRARI REVOLUTION! VIA ARRIVABENE, AL SUO POSTO MATTIA BINOTTO,
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FINO ALL’ANNO SCORSO DIRETTORE TECNICO DELLA SCUDERIA
Luigi Perna per la Gazzetta dello Sport 7.1.2019 da dagospia.com
DIETRO IL CLAMOROSO RIBALTONE, IL TITOLO SFUGGITO ALLE ROSSE E LA ROTTURA FRA I DUE DOPO LE CRITICHE DI ARRIVABENE ALLA MACCHINA – CHI E’ MATTIA BINOTTO, EX CAPO MOTORISTA, DA 25 ANNI A MARANELLO: L’INVESTITURA DI MARCHIONNE PRIMA DELLA MORTE
Ormai si era capito che la convivenza alla Ferrari fra Maurizio Arrivabene e Mattia Binotto non avrebbe potuto proseguire. Ma era molto più difficile prevedere il ribaltone che si è consumato nelle ultime ore a Maranello. Forse già oggi potrebbe essere infatti ufficializzato il cambio al vertice della Gestione sportiva, con l' attuale team principal sostituito da quello che fino all' anno scorso era il direttore tecnico della Scuderia. Fra i reparti della fabbrica si respirava un' atmosfera di tensione e incertezza già nelle scorse settimane, prima delle festività natalizie. Poi la svolta, col mancato rinnovo del contratto di Arrivabene, che fino a settembre sembrava saldamente in sella.
AMARO Per l' ex numero uno del marketing di Philip Morris si chiude così l' avventura al comando della rossa durata quattro stagioni, nelle quali la Ferrari ha avuto per due volte (2017-2018) una macchina in grado di contendere il Mondiale alla Mercedes, ma non è mai arrivata a giocarsi il titolo all' ultima gara come era invece accaduto negli anni di Stefano Domenicali e Fernando Alonso. Un bilancio che alla fine deve aver pesato sul destino di Arrivabene. In particolare l' ultimo campionato ha lasciato l' amaro in bocca e la sensazione di una grande occasione sprecata.
Lo staff di Binotto aveva messo in pista una SF71H vincente da subito in Australia e Bahrain con Sebastian Vettel, e capace di centrare 3 pole position nelle prime 4 gare, ma poi gli errori del tedesco a luglio in Germania e a settembre nel GP di casa di Monza hanno fatto spostare l' esito della sfida dalla parte di Lewis Hamilton, che da Singapore in avanti ha preso il largo in classifica. La morte del presidente Sergio Marchionne, proprio dopo la gara in Germania, ha creato uno choc profondo e ha disorientato la squadra. La frettolosa chiamata del nuovo amministratore delegato Louis Camilleri da parte di John Elkann non ha riempito il vuoto. Intanto i rapporti fra Arrivabene e Binotto, già compromessi, sono arrivati al punto di rottura.
Non è un mistero che il d.t. nei mesi scorsi abbia pensato di lasciare la Ferrari. Nonostante le smentite, sono arrivate offerte da Mercedes e Renault. Perciò si è creata una situazione in cui c' era da scegliere fra l' uno e l' altro, posto che assieme non potevano andare avanti. Una partita decisa ai calci di rigore.
EREDITà Nei piani di Marchionne sarebbe dovuta finire come è finita. Il presidente aveva già deciso di puntare per il futuro su Binotto a capo della Gestione Sportiva. Fra loro c' era un filo diretto per le scelte tecniche e non solo. Marchionne si rivolgeva direttamente all' ingegnere di natali svizzeri, che aveva acquistato potere essendo fra i grandi artefici del rilancio della scuderia dopo il primo, fallimentare anno con i motori V6 ibridi.
L' improvvisa scomparsa di Marchionne ha messo in discussione il cambio al vertice e anche altre questioni, come la promozione per il 2019 del giovane Charles Leclerc sulla rossa al posto di Kimi Raikkonen (ad Arrivabene non sarebbe dispiaciuto confermare ancora il vecchio amico finlandese). Tanto più che il team principal aveva recuperato terreno con l' arrivo di Camilleri, suo capo alla Philip Morris, riprendendosi alcune deleghe che Marchionne aveva riunito fra le sue competenze. Ecco perché adesso il ribaltone voluto da Elkann, a soli due mesi dall' inizio del Mondiale di F.1, appare clamoroso.
ERRORE Fra le colpe di Arrivabene c' è il fatto di avere avuto una strategia discutibile, anche a livello mediatico. Quando si è capito che il Mondiale stava sfuggendo per l' ennesima volta, il numero uno della Ferrari ha preso a criticare la vettura, insistendo su una battuta d' arresto nello sviluppo tecnico durata appena due gare (Singapore e Sochi), anziché affrontare seriamente la crisi di risultati e personale di Vettel, rimasto fermo al successo di fine agosto a Spa. Il quattro volte iridato si è sentito lasciato solo e gli ingegneri delegittimati. Paradossale. Adesso tocca a Binotto, uno che viene dalla gavetta, ma che quando fu presentata la macchina del 2018 fu perentorio: «Il secondo posto non ci basta più». Parlava già da team principal.