Chi (e come) ha fatto fuori Schwazer. I "corrotti": una ricostruzione bomba
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Ora per Alex Schwazer, la cui carriera è stata cancellata con una squalifica di otto anni, non resta altro da fare che cercare chi lo ha fregato
Alex Schwazer e Sandro DonatiLibero Sport 11.8.2016
Ora per Alex Schwazer, la cui carriera è stata cancellata con una squalifica di otto anni, non resta altro da fare che cercare chi lo ha fregato. Di dimostrare in tutti i modi che questa volta, lui, col doping non c'entra. Di far capire a tutto il mondo che lo hanno "ucciso". E magari chi lo ha ucciso. Impresa tutt'altro che semplice. In una drammatica conferenza stampa da Rio de Janeiro, il suo allenatore, Sandro Donati, ha promesso che "uscirà fuori tutto quanto di questa federazione corrotta".
Ed è bene partire proprio da Donati, un uomo scomodo, l'uomo che per tutta la vita ha lottato contro il doping. Più volte ha ricordato che anche il caso di Schwazer del 2012, di fatto, partì da una sua segnalazione. Ci ha scritto libri interi, sul doping di Stato. Ha più volte puntato il dito contro le federazioni, la Iaaf (la federazione internazionale) e i russi. Non si è mai tirato indietro. E il sospetto, ora, è che abbiano colpito Schwazer per far fuori lui. O quantomeno soprattutto lui. Di certo anche Alex, ormai, era scomodo: dopo essere stato beccato la prima volta non si era nascosto. Aveva confessato tutto. Aveva fatto nomi e cognomi. Aveva smascherato il sistema. E il sistema, uno così, non lo poteva più tollerare. Figurarsi se ad allenarlo ci si mette uno come Donati.
"Chi di voi crede veramente al fatto che la Iaaf sia diventata l'avamposto del boicottaggio dei russi, la federazione modello? Ma stiamo a scherzare - ha cannoneggiato Donati in conferenza stampa -? Questa è la federazione che in maniera provata si è fatta corrompere dai russi. Trasformarla nell'opposto offende tutti voi, che fate questo lavoro per farvi un'idea", ha aggiunto rivolgendosi ai giornalisti. Dunque ha ribadisco: "Ne avremmo fatto volentieri a meno, ma andremo fino in fondo, seguiremo la strada giudiziaria fino in fondo".
Dunque Donati ha raccontato il clima da caccia alle streghe con cui, a Rio, la Iaaf ha accolto Schwazer. "Volevano attenersi in maniera notarile al fatto, non ai temi generali". Ovvero al fatto che fosse risultato positivo al doping. Un test molto sospetto: un test ripetuto, un test con l'etichetta "Racines", il Paese di Schwazer, ovvero un test palese. Sapevano chi stavano esaminando. Una provetta che ha "ballato" in giro oltre il dovuto, della quale per giorni si sono perse le tracce. Una provetta, insomma, che qualcuno potrebbe aver facilmente manipolato. Ma niente da fare, ha spiegato Donati, la Iaaf ha voluto parlare soltanto del fatto che in quella provetta, dopo mesi e mesi, dopo test e test, siano state trovate tracce di sostanze dopanti. "E poi su quel terreno hanno ragione loro. Le molecole stanno là, chissà chi ce le ha messe, ma stanno là".
Ma chi ha voluto fregare Schwazer e Donati, e perché? Due domande alle quali, nel dettaglio e con precisione incontrovertibile, sarà davvero difficile rispondere. Il sistema è potente, tanto potente che settimane fa Donati disse: "Ho paura che possa accadere qualcosa di brutto a me o alla mia famiglia. Ho paura anche di perdere la vita". Un sistema così potente da far "recapitare" delle telefonate a Donati, telefonate che l'allenatore - conscio della situazione in cui era finito - aveva registrato. Al telefono c'era Nicola Maggio, un giudice internazionale di gara, il quale diceva: "I due cinesi, allenati da Sandro, attaccheranno forte. Gli dica, ad Alex, di non andare a cercare grane con loro".
E questo è soltanto un granello di sabbia, un dettaglio in una vicenda paurosa e intricata, dalla quale sarà forse impossibile uscire. Per inciso, in un appassionante docu-video su Repubblica, Donati spiega per filo e per segno chi sia quel "Sandro" della telefonata. Si tratta di Sandro Damilano, allenatore della nazionale cinese di marcia e fratello di Maurizio Damilano, il "capo dei giudici a livello mondiale" che opera nella Iaaf, la federazione. E dopo quella telefonata del giudice, e dopo molte altre chiamate, esplode il caso di maledetta provetta. Il complotto. La squalifica. La vendetta di un qualcuno che ha voluto colpire a morte.
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