Gli scontri a Euro 2016 e quello che non capisce l'Uefa sui tifosi. Parla un hooligan
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La Russia rischia l’esclusione dall’Europeo dopo i fatti di Marsiglia se ci saranno nuove violenze negli stadi. “La solita decisione insulsa di un organismo che continua a considerare gli ultras qualcosa di esterno a questo sport”, dice Tim Nilley, ultrà del West Ham. Intanto ieri gli ultras si sono picchiati nelle strade del centro di Lilla
Un'immagine degli scontri tra russi, inglesi e gallesi a Lille (foto LaPresse)
di Giovanni Battistuzzi | 15 Giugno 2016 ore 16:11 Foglio
La Russia rischia l’esclusione dall’Europeo dopo i fatti di Marsiglia. L’Uefa ha minacciato di cacciarla da Euro 2016 se ci saranno nuovi scontri all’interno degli stadi. La squalifica c’è già, ma è sospesa sino a nuove violenze.
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Nel caso non si riuscisse a resistere farlo almeno fuori dallo stadio, lì dove la Uefa non ha giurisdizione. E infatti ieri a Lille ci hanno pensato inglesi, gallesi e russi: due arresti, diversi feriti. “La solita decisione insulsa di un organismo che continua a considerare il calcio qualcosa di esente da macchie e a non capire che gli ultras, mansueti o violenti, sono parte integrante di questo sport e non qualcosa di esterno”, dice al Foglio Tim Nilley, tifoso del West Ham, per oltre dieci anni tra i capofila della curva degli Hammers. Un passato, quello del tifoso londinese, con più di un arresto per atti violenti, con risse vissute in prima persona. Un presente invece da padre di famiglia e di uliveti e barche a vela, coltivatore e insegnante sul lago di Garda.
“Pensare che la violenza negli stadi e fuori di questi non sia legata al calcio è una grandissima invenzione di chi non vuol capire cos’è il calcio”. “L’Uefa e le federazioni nazionali si ostinano, sia per stupidità sia per interesse, a descrivere questo sport come un ambiente paradisiaco, che unisce e crea convivialità. Vero, ma a livello locale, anzi di squadra. Il problema è che di squadre ce ne sono tante e ognuna rappresenta una fede”. Questa dimensione, spiega l’ex ultras del West Ham, non può che creare rivalità e incanalare in questo una particolare visione del mondo. “Ci sono tifoserie vicine e lontane. Gli ultras di una squadra posso avere simpatie e affinità, siano queste politiche e territoriali con quelli di altre formazioni, e antipatie e odi con altre. E’ un mondo complesso che ha regole sue. E’ comunque un rapporto adulto e consapevole. Ci si scontra e a volte ci si mena perché non ripudiamo la violenza, ma lo si fa con un codice etico: mai i bambini, mai gesti che possono far male a chi non è direttamente legato alle curve”, spiega Nilley. Il ricordo dell’Heysel e di altre tragedie legate al tifo è ancora vivo e questo mondo, in un modo o nell’altro ne ha fatto tesoro”.
Il problema è che il calcio è pubblicità globale e molte volte accanto a esso entrano altri fattori. “Il caso dell’ex Yugoslavia è emblematico, il calcio è stato utilizzato per aumentare le fratture già esistenti tra le etnie slave, per esasperare la situazione. Nelle curve si sono raccattati ragazzi e uomini da trasformare in paramilitari per portare moti secessionisti e indipendisti”. Questo è ovviamente un caso limite, ma che esemplifica una considerazione: “L’uomo è fatto di una dimensione violenta, in alcuni è più cheta, in altri più presente. Il calcio è capace oltre che a esaltare ed emozionare, anche di aumentare questa prerogativa della nostra indole. C’è chi si scontra per piacere, facendo male solo a se stesso e a chi come lui vuole subirlo e procurarlo e chi a questo, consapevolmente o meno, si presta a diventare carne da cannone per qualcun’altro”.
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