Lettere al Direttore Foglio 23.3.2016
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L’islam ci sta implorando di svegliarci.Guerra ed economia. Cercasi la formula giusta per mettere insieme riformismo è populismo. Nel 1994 il primo governo Berlusconi fu travolto da scioperi
1-Al direttore - Al direttore - Ancora sangue, ancora strage. L’islam ci sta implorando di svegliarci.
Jori Diego Cherubini
L’unico leader di sinistra in Europa che usa le parole giuste per spiegare cosa è successo a Bruxelles finora è Valls: “Sì, siamo in guerra”. Dirlo non significa provocare. Significa solo non voler raccontare al proprio paese un mondo parallelo che semplicemente non esiste.
2-Al direttore - Leggendo l’articolo pubblicato ieri del commissario alla Spending review, Yoram Gutgeld, non si può che prendere atto della “dichiarazione di colpevolezza”, con la quale riconosce che la spesa pubblica non è stata tagliata per 25 miliardi di euro ma che i risparmi effettuati in alcuni settori sono stati utilizzati per finanziare aumenti di altre spese. Vale la pena, inoltre, aggiungere (sulla base dei recenti dati Istat tabella 18 http://www.istat.it/it/archivio/18131) che, sebbene tra il 2014 e il 2015 la spesa corrente (inclusi gli 80 euro) si sia ridotta di circa 5 miliardi e mezzo di euro (da 765,2 a 759,6 miliardi), forse non tutto è dovuto alla spending review. In effetti, sono solo tre le voci di spesa che diminuiscono. La prima è la voce “altre uscite correnti” che cala di circa 4 miliardi e mezzo e rappresenta il vero taglio della Spending review. La seconda riguarda i “redditi da lavoro dipendente”, che scendono di circa 1,8 miliardi di euro per effetto del blocco degli stipendi nella Pubblica amministrazione deciso in precedenza. La terza – e più importante voce -, è la spesa per interessi sul debito che diminuisce di circa 6 miliardi (74,3 a 68,4 miliardi di euro): in questo caso, il calo è dovuto all’azione della Banca centrale europea. Da notare, che le uscite correnti primarie, ossia al netto della spesa per interessi, aumentano – e non diminuiscono - di 340 milioni di euro. Questo risparmio di 6 miliardi, derivante da tassi di interesse più bassi, peraltro, non è stato utilizzato, né per ridurre la spesa pubblica complessiva, che scende solo di 865 milioni di euro, né per finanziare nuovi investimenti pubblici che crescono solo di 385 milioni di euro.
Veronica De Romanis
3-Al direttore - Quando leggo sul Foglio Yoram Gutgeld che scrive che “la nostra bassa crescita risente pesantemente della montagna di tasse che i governi Berlusconi e Monti hanno inflitto alla nostra economia”, mettendo sullo stesso piano chi causò quel disastro con quattro anni di assoluto immobilismo e chi dovette suo malgrado salvare i conti dal tracollo nel giro di poche settimane, mi convinco sempre più che in questo paese non c’è da contrastare solo un evidente populismo di opposizione, ma anche uno strisciante populismo di governo. Non fosse altro perché, senza quel sofferto, ma necessario riordino dei conti, il nostro governo non avrebbe alcuno spazio di flessibilità sul deficit da utilizzare per le giuste politiche espansive che stiamo facendo e dovrebbe magari applicare dosi più temperate, ma non meno impopolari, di politica fiscale restrittiva. Anche se non sono mai stato un iper-montiano come invece alcuni miei ex colleghi di Scelta civica transitati al Pd perché prontamente e tempestivamente divenuti iper-renziani, non posso accettare in silenzio che vengano fatti passare messaggi del genere, nemmeno da autorevoli e stimabili esponenti di un partito alleato.
Enrico Zanetti
viceministro dell’Economia
Tutto vero. Lo ripetiamo da mesi: più attenzione al buon senso, meno al consenso. In economia così come in politica estera. Ovvio. Ma non crede anche lei che il riformismo senza un di populismo sia qualcosa che funziona solo nel paese non reale dei libri di macroeconomia? Ci pensi bene. A presto.
4-Al direttore - L’aggregazione tra il Banco Popolare e la Popolare di Milano probabilmente andrà in porto, anche se diversi aspetti avranno bisogno di ulteriori approfondimenti, a cominciare dalla previsione di una struttura autonoma della Bpm preposta al sostegno dell’economia del territorio, nell’ambito del gruppo che nascerà dalla concentrazione, oltreché dai diversi passaggi per l’irrobustimento patrimoniale. Ma la vicenda, se ha evidenziato indecisioni e ritardi negli stessi partner della fusione, ancor maggiori problemi ha messo in luce nell’azione della Vigilanza unica, ossessionata dalle dotazioni aggiuntive di capitale come rimedio per qualsiasi male e comoda rassicurazione per un controllo che burocraticamente non intende lasciare nulla alla capacità progettuale e a un’analisi avveduta del merito di credito da parte dei vertici bancari. Per di più, nel caso specifico, i due istituti avevano superato le prove alle quali la stessa Vigilanza li aveva sottoposti. Sarebbe giusto, allora, che sul funzionamento di questa struttura, sulle divaricazioni nette rispetto alla politica monetaria si aprisse un ampio approfondimento per correggere laddove è assolutamente necessario emendare. Con i più cordiali saluti.
Angelo De Mattia
5-Al direttore - Nel 1994 il primo governo Berlusconi fu travolto da scioperi, manifestazioni e da un’accanita campagna mediatica che – con lo zampino del Quirinale – fornirono il pretesto alla Lega per togliere la fiducia all’esecutivo in difesa delle pensioni di anzianità del valoroso popolo padano. Infatti, la riforma proposta allora prevedeva una penalizzazione del 3 per cento per ogni anno di anticipo della quiescenza rispetto all’età legale di vecchiaia vigente. Un destino bizzarro ha voluto che quella percentuale maligna, tornasse al centro, in funzione di correttivo attuariale, del progetto di pensionamento flessibile sollecitato, con un ardore degno di miglior causa, dal presidente Tito Boeri e non fosse neppure scartata da Cesare Damiano, il presidente della commissione Lavoro della Camera, in competizione con quello dell’Inps nel tentativo di smontare la riforma Monti-Fornero.
Giuliano Cazzola