Il Papa e i faraoni della Curia. Francesco critica i vescovi che spendono.
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Ma un trattamento grillino della chiesa è una cattiva idea. Il denaro non serve solo a fare l’elemosina, e il diavolo spesso usa mezzi pauperistici per farsi sentire
di Giuliano Ferrara | 06 Novembre 2015 ore 19:46 Foglio
Non mi rassegno all’idea che un Papa possa sbagliare. Sono irrazionale? Sì, lo sono. Non m’importa che la celebre pierre sia stata nominata con un chirografo, atto solenne di mano del Pontefice. Me ne infischio se nell’Opus Dei, prelatura personale del Papa secondo san Giovanni Paolo II, si poteva pescare di meglio che non monsignor Vallejo Balda. Lascio volentieri ai laicisti di pensare che un’istituzione mezzo umana e mezzo divina meriti l’orgia del pettegolezzo, i cardinali che si mordono gli uni gli altri (come disse Benedetto citando un padre della chiesa), polemiche da buggigattolo sanpietrino, che disonorano una grande e fatale tomba, o da Curia castale e lebbrosa. Considero gesti commerciali e malizie editoriali i libri fondati sul trafugamento proditorio di carte riservate e sul loro montaggio scandaloso all’insegna di Mafia Vaticana. Secondo me un cardinale alto uno e novanta, di centotrenta chili, tra i settanta e gli ottanta, posto che lavori bene e sia uomo di Dio, può benissimo viaggiare in business class, via. Credo alla metà della metà, come per il sesso i soldi e la santità, a tutte queste dicerie bellettristiche e fasulle.
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Però e perciò scongiuro umilmente Francesco, dalla mia cattedra di non credente, a quanto pare l’unica tipologia accademica rimasta in piedi nella chiesa post teologica e pastorale, di non fare sparate contro i preti che vivono come faraoni, di non considerare il denaro come sterco del demonio (lo è, in parte, ma il demonio ha molti altri mezzi, anche superbamente pauperistici, per farsi sentire), di non portare all’incandescenza profetica o apocalittica, decidete voi, la sua crociata francescana per una chiesa povera e dei poveri. Eliminare i lussi dalla vita del clero romano e di altri settori altrettanto sbrilluccicanti in tutto il mondo, è buona cosa. Pastoralizzare la chiesa, come si pastorizza il latte per disinfettarlo e metterlo in sicurezza esponendolo ad alte temperature, va bene. Ma un trattamento grillino della chiesa, dopo quello scalfariano della dottrina, è una cattiva idea.
Intanto Francesco, l’alter Christus, agiva dal basso di un mondo infinitamente diverso da quello moderno. Francesco, il Papa che a lui si ispira secondo modelli ignaziani, sa meglio di chiunque altro che tra il poverello e noi c’è di mezzo il Cinquecento, la Riforma, la nascita del mondo moderno, grazie anche ai gesuiti. I poverelli scalzi e in saio possono ricostruire la chiesa con la testimonianza, salvo approfondimenti spirituali e storici della faccenda, ma i Papi la chiesa devono governarla. E se il suo santo programma pontificale è letteralmente “rimettere la chiesa all’onor del mondo”, seguendo la via di un individualismo mistico, di uno svuotamento al cospetto di un Dio misericordioso che perdona attraverso il sacrificio del suo unico Figlio, programma sacro in sé, i mezzi impiegati per realizzarlo non possono confondersi con le falsità dissacranti del pauperismo, dello scandalismo, dell’importazione nella madre e maestra dei credenti dei metodi facilisti dell’antipolitica laica, che oggi è una religione dell’irreligione pronta a divorare la riforma o rivoluzione di Francesco con il suo spiritaccio canaille e anticristico.
Sono papista, non curiale. Me ne sono sempre straimpipato delle cordate, delle lobby, degli umani troppo umani di quell’istituzione così fatalmente romana. Ma non posso sopportare un linguaggio scadente, la convergenza con la linguacciuta e delatoria tendenza a vedere mali mondani anche dove non ci sono. Se un giornale romano divenuto giornale di riferimento della rivoluzione di Francesco, come Repubblica, insiste sul fatto che Bertone vive come un faraone, ride dei bambini malati del Bambin Gesù, insomma il male assoluto, e poi porta come prove quattro fregnacce imprecise e calunniatrici, il capo della Santa Sede, autorità civile e morale oltre che spirituale, deve reagire con severità. Faccia una telefonata a Mauro, per una volta salti il colloquio di conversione con il grande spinoziano. A me Bertone non è mai piaciuto nonostante fosse stato scelto da un Papa che amavo incondizionatamente per il suo pensiero teologico; me lo ricordo da Vespa che insieme al vecchio Andreotti attribuiva ai trafficanti di droga, invece che a Yuri Andropov e al suo pistolero inabile, il destino del Papa Giovanni Paolo sotto attentato; mi ricordo quanto leccaculismo lo circondava, tra una cenetta e l’altra, tra un incarico e l’altro, tra quelli, e non faccio i nomi per carità di patria ecclesiastica, che ora si affollano sotto i patiboli mediatici tollerati da Francesco. Ma non si sgozzano i cardinali sulla pubblica piazza, se si voglia un po’ di bene alla chiesa com’è, com’è stata e come sarà sempre.
Il denaro non serve solo a fare l’elemosina, questa è un’utopia regressiva. Il denaro è un mezzo decisivo di comunicazione tra gli umani, da sempre, e non c’è bisogno di tornare a una chiesa costantiniana e al regime di cristianità per capire che il denaro serve a garantire l’indipendenza dell’istituzione, la libertas ecclesiae, oltre che il funzionamento delle opere misericordiose che costituiscono il grosso delle spese e degli investimenti della casa madre in tutto il mondo. La chiesa certo è spossessamento, in ogni senso, certe cose non devono essere tollerate dalla gerarchia e dal suo custode, ma il denaro come facoltà e facoltosità ha commissionato le grandi opere di Michelangelo e tutto il resto, cose che Francesco per primo riconosce come patrimonio non della sola chiesa ma dell’umanità. La storia non deve essere semplificata e compressa in interviste da teologia del popolo che possono compiacere un’immaginetta che il mondo è pronto a idolatrare, il santino così poco laico di una chiesa spoglia di influenza e di potere se non spirituali. Questo potere e questa influenza c’è chi se li andrà a cercare negli interstizi e negli spazi lasciati vuoti dalla cultura di impianto cristiano e occidentale. Lo spirito va e viene dove vuole, anche nella cassetta delle indulgenze e nelle opere costose della misericordia o nella creazione di un mondo divino parallelo, quello delle immagini e delle opere d’arte. La chiesa è padrona di niente, è operaia dello spirito, è evangelica, d’accordo, ovvio, ma la sua dignità povera e per i poveri non sopporta gli ipocriti arabeschi, questi sì farisaici nel senso peggiore del termine, dei populismi d’accatto e delle guerre intestine all’insegna della logica anti istituzionale. Magari mi sbaglio, ma per me è così.
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