Francesco spiegato con Voltaire
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Che cosa rischia una chiesa che vuole modernizzare l’idea di “inculturazione della fede”? Le convergenze parallele del Sinodo, la bambagia misericordiosa della speranza e la funzione di discernere il relativo affidata alla collegialità
di Giuliano Ferrara | 26 Ottobre 2015 ore 19:30
Interpretazioni dell’esito sinodale su dottrina e pastorale ovvero sulla verità rivelata e codificata a fronte della pratica religiosa ispirata alla legge somma della chiesa, la salvezza delle anime. Per Antonio Socci (Libero), vigoroso sostenitore della tesi secondo la quale il Papa regnante è un falso in atto pubblico, Bergoglio è stato messo in minoranza dai padri e ogni apertura sui divorziati risposati, tema chiave, è stata respinta. La stampa internazionale lo registra, aggiunge Socci, mentre quella italiana, laicista e sovreccitata nel suo bergoglismo da parata, afferma impudentemente il contrario. Per Alberto Melloni (Corriere), critico della papolatria di san Giovanni Paolo II e della campagna ratzingeriana contro il relativismo culturale e morale, il Sinodo ha stroncato il cardinal Ruini e la sua idea di una “condizione oggettiva” di peccato, affermando che “il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio sulla imputabilità soggettiva”, il che sembrerebbe una disquisizione casuistica, formalmente, ma è in realtà la distinzione tra peccato e peccatore, non proprio una novità, direi una ovvietà catechistica.
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Repubblica fa del gustoso retroscenismo, parla di un pranzo in cui Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e allievo di Ratzinger, concorda con il Papa emerito l’appoggio alle tesi aperturiste, con juicio, del circolo germanico, e favorisce la convergenza di Walter Kasper (teologia in ginocchio) e di Gerhard Müller (dottrina della fede). La chiesa è maestra di umanità e madre misericordiosa, ma questo era noto, e scoprirlo come novità, per dirla con il tono supercilioso del Melloni, è una banalità.
Più interessante, naturalmente, il parere del preposito generale della Compagnia di Gesù, superiore nella regola del gesuita Bergoglio e paradossalmente suo scudiero in virtù del voto di obbedienza al Papa, anche gesuita, circa missiones. Padre Adolfo Nicolás dice che ha prevalso il “discernimento” ignaziano, cioè la regola di vedere Dio in tutte le cose e tirare le conseguenze esaminandole caso per caso. C’è un “relativismo cristiano”, come diceva il cardinale Martini in polemica con colui di cui fu antepapa, Benedetto XVI. Gli uomini di chiesa sono esperti non solo in umanità, sono campioni nei giochi linguistici, sono, anche se la cosa non piace ad alcuni circoli francescani, esperti del Logos. Nessun antirelativista nega il discernimento, sarebbe ridicolo più che dogmatico, e nessun relativista cristiano nega le conseguenze dottrinali e pastorali di una religione rivelata. La stessa tradizione cattolica si fonda su questo et-et. Bisogna dunque aspettare, dopo lo stallo aperturista, dopo le convergenze parallele del Sinodo, l’esortazione apostolica postsinodale di Francesco, libero di decidere una eventuale nuova disciplina pastorale in materia di famiglia dopo la lunga elaborata e interessante consultazione di popolo e clero. Per ora si avvolge il tema critico dei costumi moderni nella bambagia misericordiosa della speranza e si affida alla collegialità la funzione di discernere il relativo, poi si vedrà. Roma non è locuta finché il Papa non ha parlato.
Il Papa per la verità parla molto, come è giusto, e concludendo il Sinodo ha puntato sul concetto di inculturazione della fede, la relazione speciale e delicatissima della fede evangelica dei cristiani con le culture che si dispiegano nella storia e nella geografia del mondo. E’ questione troppo complicata per discuterne in due righe. Basti la sentenza ironica di un vecchio ateo o deista devoto del XVIII secolo, Voltaire: “I parigini si meravigliano che gli Ottentotti taglino a ogni nato un testicolo, ma gli Ottentotti si meravigliano che i parigini insistano nel tenerseli tutti e due”. Sono le avventure complicate del monorchidismo, antica variante africana dell’ideologia del gender
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