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“L’America del In God we trust è ancora cristiana”, ci dice il grande sociologo Rodney Stark
di Matteo Matzuzzi | 21 Settembre 2015 ore 19:39 Foglio
New York. Rodney Stark è considerato il più grande sociologo delle religioni vivente. Ottantuno anni da poco compiuti, da un decennio lavora alla Baylor University, in Texas, dove si è trasferito dopo trentadue anni trascorsi a insegnare all’università di Washington. Con il Foglio discute dello “stato della religione” negli Stati Uniti, ora che vi metterà piede il Papa latinoamericano che mai, nella sua lunga vita, aveva scelto come meta dei suoi viaggi la grande potenza occidentale. Qualche anno fa, Stark aveva descritto – su un piano puramente laico, lui che stima sì la chiesa cattolica ma è nato in una famiglia luterana e ora è convinto solo che all’origine di tutto ci sia un disegno intelligente – andando controcorrente e scatenando le perplessità della dotta intellighenzia accademica internazionale, il revival della pratica religiosa ai quattro angoli del pianeta. Compreso quell’occidente piegato al culto della dea laïcité e ormai “spiritualmente stanco”, come disse Benedetto XVI. La sua opinione, da allora, non è mutata e guai a parlargli della secolarizzazione che in Europa pare marciare inarrestabile, senza trovare ostacoli: “La teoria della secolarizzazione si è rivelata essere niente di più che un insieme di speranze disattese partorite dagli scienziati sociali. Ma quale fine della religione! Contrariamente a tutte le insulse storielle che circolano in occidente, c’è un risveglio religioso in tutto il mondo. Lo dicono i numeri: sulla base dei sondaggi condotti dalla Gallup in ben 163 paesi – e parlo dei paesi che messi insieme rappresentano il 98 per cento della popolazione globale – si scopre che mai come oggi così tante persone appartengono a religioni organizzate: l’81 per cento. Tanti, poi, dicono che frequentano la chiesa”.
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“Gli atei sono pochi dappertutto, di solito meno del cinque per cento”. Stark non è pessimista sul destino più o meno manifesto del suo paese, nonostante le sentenze della Corte Suprema sulle nozze omosessuali dichiarate costituzionali, e ride quando gli si mettono sotto gli occhi i sondaggi che testimonierebbero che l’America del motto In God we trust non è più una nazione cristiana: “Questi sondaggi, a differenza di quelli di cui parlavo prima, sono errati e fuorvianti. La gente dice che questo non è più un paese cristiano? Sono gli stessi che poi pregano e credono negli angeli. Il che non mi pare significhi disdegnare le religioni. Peggio ancora, quelle rilevazioni hanno un tasso di risposta inferiore al 12 per cento, e quindi sovrastimano in maniera enorme quegli americani meno istruiti e con un reddito più basso che da sempre sono stati meno propensi ad aderire a una chiesa”. Stark non vede neppure una crescita dell’anti cattolicesimo, negli Stati Uniti: “La maggior parte di quanti potrebbero essere annoverati tra quelli che non sono in sintonia con il cattolicesimo in realtà io li definirei più anti-cristiani. Odiano i protestanti evangelici molto di più rispetto ai cattolici”, confermando implicitamente il fastidio arrecato dalla presenza capillare (e “rumorosa”) di questi gruppi religiosi che – specie in America latina, e in Brasile in particolare – strappano alla chiesa di Roma decine di fedeli al giorno, grazie anche alla presenza costante sui media e alle ingenti risorse finanziarie.
L’èra di Francesco
Ecco che allora si torna a Francesco, il gesuita argentino che come pochi conosce quella realtà. Riuscirà lui a invertire la tendenza, a riconquistare il terreno perduto, a riconvertire le masse che se ne stanno andando perché, magari, stregate da uno spot televisivo? Rodney Stark, sul punto, si fa più dubbioso. Guarda gli eventi del recente passato e quel che attenderà ora la chiesa, con il Sinodo sulla famiglia alle porte e il Giubileo della misericordia che inizierà il prossimo dicembre; pensa ai viaggi tra Ecuador e Bolivia e ai testi programmatici del pontificato, dalla Evangelii Gaudium alla Laudato si’, l’enciclica sulla custodia del creato che ha incuriosito anche Fidel Castro, tanto da fargli porre sul tema più d’una domanda nella mezz’ora di colloquio avuto domenica con Bergoglio.
“Non so che dire sulla cosiddetta èra di Francesco”, osserva il nostro interlocutore: “Non è chiaro cosa voglia dire questa definizione. Se questo Papa è davvero un sostenitore della teologia della liberazione, allora danneggerà la chiesa. Dobbiamo però aspettare, vedremo”. Nel frattempo, si può pensare alla reconquista cattolica degli Stati Uniti, magari sulle orme di Junípero Serra, che sarà canonizzato domani a Washington, nonostante l’ira e i sit-in dei nativi indiani.
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