Dopo l’allarme di Müller
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Più soldi che famiglia. La chiesa tedesca si prepara a rompere con Roma. Lo “scisma sotterraneo” iniziò nel 1968. Il Sinodo, ora, ha alimentato “attese che non possono essere disattese”
di Redazione | 08 Settembre 2015 ore 06:18 Foglio
Roma. Il cardinale prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller, ha avvertito che il rischio di scisma nella chiesa cattolica non è mai stato così forte. S’è rifatto al 1517, alla Riforma protestante, alle tesi inchiodate da Lutero a Wittenberg e alla reazione romana, per avvertire che sarebbe opportuno “non dimenticare la lezione della storia”. Ce l’aveva con i tedeschi suoi connazionali, con una conferenza episcopale che ha colto l’opportunità del Sinodo sulla famiglia per far sapere al mondo che “noi non siamo una filiale di Roma” e “non sarà un Sinodo a dirci come dobbiamo comportarci qui”. Frasi del cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco, presidente dei vescovi di Germania, descritto dai più come un novatore dell’ultim’ora. Chi lo conosce bene dice che lui è sempre stato bodenständig, un buon cattolico senza troppe ambizioni. Almeno fino alla promozione a Monaco (a scapito proprio di Müller) e, soprattutto, all’elezione a presidente della conferenza episcopale nazionale. Ora però ha smorzato i toni, spiega che le attese sono troppo elevate per quel che il Sinodo – e il Papa – deciderà. A ogni modo, parlare di un 1517 bis appare esagerato anche per i pochi oppositori alla linea dei novatori, che è quella di governo. Solo sette, forse otto vescovi su una ventina non vogliono fare la rivoluzione, ma in nome dell’unità episcopale preferiscono non uscire troppo allo scoperto, sperando che la buriana prima o poi passi. Anche perché, spiegano, in realtà lo scisma sotterraneo va avanti da almeno quarant’anni, fin dai tempi della Humanae Vitae, poi dalla questione dell’aborto e quindi dai dissidi fondamentali sulla cassa, i soldi, la Kirchensteuer. La tassa che se non paghi ti proibisce l’accesso in chiesa.
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E’ la tassa pari al 9 per cento sull’imponibile Irpef (per fare un paragone con l’Italia) che ogni battezzato si vede prelevare mensilmente dal proprio conto corrente. Chi non la vuole pagare, deve far sapere allo stato che non intende più essere considerato credente. Chi non paga, è scomunicato. Da Roma hanno tentato più volte, timidamente, di convincere l’episcopato tedesco a rivedere il meccanismo della Kirchensteuer, trovandosi di fronte sempre un muro. Questione di sopravvivenza, ora che i fedeli sono ridotti al lumicino e non c’è più neppure il problema morale dei seminari occupati da qualche ipotetico presbitero con “vocazione per motivi economici”, considerato lo stipendio di cui può beneficiare il clero tedesco. E se mancano i fedeli, mancano anche le entrate. Quelle stesse entrate che negli anni Ottanta hanno risolto più di un problema alle ammaccate casse vaticane. Per mantenere i cattolici, è il ragionamento, bisogna andare incontro alle loro attese. Che sono poi quelle di un ammorbidimento della pastorale e, perché no, della dottrina. Adeguarsi, insomma, allo Zeitgeist. Il primo passo è dare il via libera alla comunione ai divorziati risposati, pratica che in modo tacito è già abbastanza comune in più d’una diocesi a nord delle Alpi. E se il Sinodo non lo farà, come ha già detto Marx, in Germania andranno comunque avanti. Costi quel che costi.
Questa mattina, intanto, saranno presentate due lettere motu proprio del Papa sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio. La Mitis Iudex Dominus Iesus riguarderà il codice di diritto canonico, mentre la Mitis et misericors Iesus riformerà il Codice dei canoni delle chiese orientali. Si prevede lo snellimento delle procedure, cancellando il secondo grado di giudizio se una delle parti non si oppone.
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