I valori e le canaglie
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Un siriano in fuga si fa scappare la verità che nessuno vuole ammettere: la guerra si ferma con la guerra
di Giuliano Ferrara | 04 Settembre 2015 ore 16:51 Foglio
Il tredicenne siriano Kinan Masalmeh, con il suo volto serio, il suo eloquio equilibrato e realista, i suoi occhi intelligenti, ha detto in poche parole quello che qui si ripete da mesi inascoltati: passiamo dai valori ai fatti, “fermate la guerra in Siria e noi non verremo più in Europa”. Kinan non ha letto l’Economist e la sua lezione sul self interest degli europei, vecchi e non in grado di pagarsi welfare e debiti con i pochi figli che fanno, bisognosi di importare gioventù, alacrità, desiderio di futuro. Kinan certo chiede aiuto per i siriani, sarà contento quando saprà che ora anche Angela Merkel, anche la Bild Zeitung e la maggioranza dei tedeschi, anche il paese-guida del continente nel quale cerca rifugio vogliono offrirgli solidarietà, un rifugio, un posto di lavoro. Tuttavia la sua innocente verità è più che solidarietà, umanitarismo: la sua verità è politica, la forma più alta della carità secondo Paolo VI. Fermate la guerra in Siria, continueranno le migrazioni ma controllabili, amministrabili, finirà l’esodo, la corsa disperata disseminata di morti per acqua e per autostrada, per annegamento e asfissia.
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“Just stop the war, and we don’t want to go to Europe. Stop the war, just that”. Da quattro anni alcuni fra i paesi più ricchi e più forti del mondo, attrezzati in tecnologia, bene armati, hanno paura di agire nel teatro di guerra che ha già fatto centinaia di migliaia di morti, fissano la linea rossa dell’uso delle armi chimiche e poi lasciano che venga valicata. Così brucia la Siria, centro strategico del Medio Oriente, e gli europei, gli occidentali, digiunano sulla via delle buone intenzioni, con Papa Francesco e con Putin, per evitare ogni forma di intervento armato, si dividono sui valori dell’accoglienza o dell’identità, frastornano nel panico morale l’opinione pubblica travolta dalle paure, subiscono l’esodo nelle forme più tragiche, selvagge, guardano storditi la foto del piccolo cadavere spiaggiato e raccolto e deposto da un militare turco, raccolgono eroicamente a migliaia i dispersi del mare, quelli sopravvissuti all’ecatombe, erigono muri, speculano sull’immigrazione, litigano sui Trattati, e tutto nel nome dei valori umanitari, affermati o negati o interpretati, tutto nel nome di quella spettrale emulsione retorica che è “l’anima dell’Europa”, balle, chiacchiere, vanità degne della caciara mediatica in cui ormai consiste la vita delle elite o classi dirigenti. I valori sono come il patriottismo del dottor Johnson, sono l’ultimo rifugio delle canaglie.
Finché un tredicenne siriano in fuga non si fa scappare la verità politica che nessuno voleva ascoltare. Bene. Non si può che rallegrarsi per la nuova via lastricata di buone intenzioni che è l’asilo politico comune, la revisione delle regole di Dublino, la presa d’atto della necessità di una condivisione vincolante dell’accoglienza dei profughi, la conversione della Merkel, del gruppo Springer e di David Cameron, l’uscita di Francia e Spagna dall’ambiguità, la buona rotta media scelta per prima dall’Italia, bene, rallegriamoci e facciamoci tutti un selfie in Alaska con vista sul ghiacciaio. Ma non scordiamoci la Siria e la Libia, non scordiamoci lo Stato Islamico che si sta divorando con il tritolo, dopo aver infierito su cristiani e yesidi, i rimasugli di una storia bimillenaria, non obliteriamo sotto il segno dell’umanitarismo la indecente sconfitta politica, diplomatica e militare che emiri, Califfi e Ayatollah stanno comminando all’insieme di paesi occidentali che dovrebbero essere il centro di una mobilitazione politica per un nuovo ordine mondiale, che dovrebbero semplicemente fermare la guerra e imporre la pace con l’unico mezzo ad oggi conosciuto: una guerra. “Stop the war. Just that”.
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