Immigrazione e impotenza dei cristiani
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Quando la tragedia è già avvenuta si può fare tutto il bene possibile, ma il lieto fine è escluso. Motivo? L’antropologia dell’uomo medio e l’illusione occidentale che volontà morale e politica saggia possano risolvere tutto
Una donna e suo figlio, insieme a un gruppo di altri migranti, si incammina verso il confine tra la Serbia e l'Ungheria (foto LaPresse)
di Alfonso Berardinelli | 02 Settembre 2015 ore 14:01
Vorrei svolgere uno schematico ragionamento partendo da tre evidenti realtà. La prima è che l’Europa è da due millenni il continente del cristianesimo, delle sue promesse, della sua storia, e da tre secoli è il continente dell’illuminismo universalistico promotore della razionalità critica e del libero pensiero. La seconda realtà è che in termini di antropologia sociale e culturale l’Europa è oggi il continente dell’uomo medio, dei ceti medi, della politica media e dalla media normalità orientata al culto del benessere e della sicurezza, della vita comoda e dell’eliminazione del rischio. La terza realtà è che gli attuali flussi migratori di massa da est e da sud sono un fenomeno di dimensioni ingovernabili e di carattere tragico, nel senso che per un’enorme quantità di profughi e di migranti (la distinzione è spesso labile) non c’è speranza. Non si può e non si potrà salvare tutti, e neppure la maggioranza, dalla morte, dalla miseria, dall’impossibilità di realizzare condizioni di vita accettabili.
Vanno aggiunte altre due considerazioni preliminari. Si è sempre detto e saputo che non c’è politica senza uno spregiudicato senso della realtà. Ora è evidente, in questo come in altri innumerevoli casi, che senso della realtà significa consapevolezza che l’azione politica non agisce e non raggiunge i suoi scopi dichiarati se non raramente e in misura irrisoriamente o tragicamente limitata. Il rimedio al male non esclude, anzi può creare mali ulteriori e diversi, sia nel presente che nel futuro. Nel Novecento due guerre mondiali si sono concluse con un momentaneo equilibrio di pace che conteneva forme nuove di conflitto futuro e non escludeva ma accettava per il presente come una necessità il sacrificio di intere nazioni. Dai trattati di pace della Prima guerra mondiale nacquero il fascismo e il nazismo. Dalla pace del 1945 derivò per mezzo secolo il congelamento sovietico dell’Europa orientale. Altro esempio? La scelta politica dell’euro come moneta unica è stata compiuta per unire l’Europa e ora si scopre che la divide. Il potere della politica non solo compie errori, ma è più illusorio che reale e spesso più impotente che risolutivo di fronte a realtà che finiscono comunque per imporsi tragicamente.
La seconda e conseguente considerazione è che la nostra iniziativa sia politica che sociale più che risolvere e superare problemi e conflitti, può solo limitare il danno, poiché il bene si può fare solo nei limiti di quanto di volta in volta è possibile. L’eroismo morale di chi tenta l’impossibile nasce al di qua e al di là della logica politica, si manifesta solo in casi eccezionali e l’eccezione è dovuta quasi sempre all’iniziativa spontanea di singoli individui o di gruppi ristretti, non di intere popolazioni né di organizzazioni statali.
Di fronte alle attuali ondate migratorie, più o meno a occhio e parlando all’ingrosso, è assai probabile che in ogni italiano (in ogni europeo: con varianti nazionali) convivano egoismo e generosità, sensibilità e indifferenza, compassione e xenofobia. E’ probabile che in ognuno di noi ci siano sia il cristiano che l’uomo medio, il democratico e il consumatore, il conservatore e il progressista, la speranza e lo scetticismo. E’ altrettanto probabile che in un periodo di grave crisi economica e sociale le paure, lo scetticismo, l’indifferenza e il conservatorismo dell’uomo medio siano prevalenti. L’uomo medio mette a tacere o mette in minoranza il cristiano. Lo dicevano anche dei materialisti marxisti come Bertolt Brecht: prima viene la minestra e poi viene la morale.
Diciamo pure, parlando all’ingrosso ma seriamente, che il cristianesimo non è esattamente l’etica e la mentalità delle classi medie occidentali: lo è ancora meno se parliamo di coloro che non dispongono dei piccoli o grandi privilegi dell’uomo medio. Succede infatti che il povero sia il più probabile nemico di chi è più povero ancora, perché lo sente come una minaccia terribilmente prossima.
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Il cristianesimo, come altre religioni, più di altre religioni, considerando il pathos eccezionalmente drammatico del suo fondatore morto sulla croce, è una religione esigente in fatto di fraternità, condivisione della sofferenza, carità e amore del prossimo. Non è un caso se il cristianesimo e la modernità borghese e capitalistica non siano cresciuti in armonia. Non mi riferisco alla complessa vicenda che ha visto in lotta le scienze naturali moderne e la teologia. Voglio dire che se è vero che l’economia ha progressivamente reso subalterna l’etica, allora, di conseguenza, il tipo umano e il tipo di relazioni sociali che dominano in Occidente non sono molto accessibili al richiamo dei fondamentali valori cristiani. Né Gesù né san Francesco sono dei modelli per l'uomo medio. L’etica cristiana (lo dico per chi non lo ricordasse) prevede la santità, che anche un illuminato umanista come Montaigne avrebbe considerato “virtù eccessiva”. L’uomo medio europeo ha continuato a considerarsi cristiano, ma istituzioni come le chiese da un lato e gli stati liberal-democratici, custodi dell’economia di mercato dall’altro, non riescono a convivere senza divergenze e attriti. L’ipocrisia, vizio moderno basilare e quasi provvidenziale, ha occultato il conflitto: la domenica a messa con i sacramenti, gli altri giorni della settimana con i sacrosanti e intoccabili interessi e affari. Insomma, l’uomo medio pensa: se mi comportassi veramente da cristiano, è quasi certo che in questa società sarei una vittima e un “perdente”. Ora le nostre società e coscienze divise in due, più o meno consapevolmente ipocrite, più o meno cristiane, ma certo occupatissime a calcolare vantaggi e perdite, tasse e pil, produzione e consumi, si trovano di fronte a una tragedia umana (“umanitaria”) enorme che ci coglie di sorpresa, impreparati e sgomenti. Da un quarto di secolo le migrazioni dall’Europa orientale, dall’Asia e soprattutto dall’Africa, due continenti sterminati, incombono sulle nostre società europee stanche, sfiduciate, sovraffollate e fragili, in crisi sia economica che etica e inoltre, recentemente, minacciate dal terrorismo islamista antioccidentale.
La Chiesa guidata da Papa Bergoglio ha cambiato stile e linguaggio e sulle migrazioni ha assunto una posizione chiara. L’Italia, l’Europa, devono accogliere i diseredati e i disperati. E’ un dovere morale e indiscutibilmente un dovere cristiano. La Chiesa non potrebbe pronunciarsi diversamente. Ma il suo appello alla solidarietà e all’accoglienza suona (e si rivelerà sempre di più) come una sfida all’uomo medio, alla classe media che mediamente popola l’Europa di oggi. Una classe vasta e composita resa ansiosa e spesso fobica di fronte a ciò che minaccia la stabilità, la sicurezza sociale e ciò che resta di un benessere faticosamente conquistato nell’ultimo mezzo secolo.
E’ inutile ricordare (accademicamente) che la storia del nostro continente è fatta anche di periodiche, non indolori migrazioni di massa. Il nostro presente però non è ancora storia. Le reazioni con cui stati e popoli reagiscono all’impatto migratorio attuale sono eventi in corso, non previsti, non prevedibili e non storicizzabili. Si usa accusare questo o quel governo di criminosa inadeguatezza e di politiche antiumanitarie. Accuse giuste. Ma si dovrebbe subito dopo riconoscere che nessuno stato europeo mostra di avere una visione equilibrata, lucida, adeguata a gestire gli effetti sociali delle attuali migrazioni. A migliaia, a milioni, dall’Africa e dal medio oriente esseri umani in fuga da guerre e dittature rischiano tutto, rischiano dolore, morte e sradicamento pur di fuggire dai paesi in cui sono nati. L’istinto e l’esperienza dicono loro che, comunque vada, in Europa staranno meglio. Sono disposti a mendicare, a essere brutalmente sfruttati, umiliati, maltrattati e a morire di malinconia e di inedia pur di lasciare i loro paesi. Hanno torto? Si sbagliano? Sulle proprie condizioni di vita ne sanno certo più di noi. L’uomo medio occidentale riesce a stento a immaginare condizioni così estreme di miseria e di disperazione. L’uomo medio occidentale di oggi non sa più niente di quello che hanno vissuto le generazioni di emigranti europei di un secolo o di mezzo secolo fa. Non riesce a immedesimarsi. Chiude gli occhi. E se ancora riesce momentaneamente a capire, che cosa può materialmente fare in questi anni di povertà crescente e di disoccupazione? Ascoltiamo gli appelli cristiani ad abbracciare il prossimo. Ma questo prossimo viene da lontano, non lo conosciamo, non lo riconosciamo, non ci somiglia. La quantità numerica e la disperazione di questo prossimo ci spaventano. Come si comporterà chi non ha niente da perdere e viene da luoghi in cui l’esercizio della violenza è un fatto quotidiano?
Gli italiani si sentono da anni ignorati, traditi, derubati, truffati dallo stato, dalla classe politica, dai partiti. Assistono impotenti agli scandali della corruzione, del malaffare, di una criminalità sempre più organizzata, arrogante, contagiosa. L’appello cristiano alla solidarietà e all’accoglienza è una sfida a cui non siamo preparati a rispondere. Anche volendo, non sappiamo come. L’italiano medio di oggi non è solo egoista e ottuso: è umiliato, snervato dall’impotenza politica, indignato ma soprattutto impaurito.
E’ vero, bisogna prendere sul serio la parola che ormai viene perfino abusata: è una tragedia quella a cui assistiamo. E ogni situazione tragica è paralizzante perché trasmette la certezza che non può esserci vero rimedio. Il Mediterraneo è un cimitero. Lo è già. Riusciremo a salvare la metà dei migranti? Per dare loro che cosa? La maggioranza di loro si ammala, muore durante il viaggio, non troverà né casa né lavoro né la possibilità di una vita decente. Siamo abituati a credere che la buona volontà morale e la giusta politica possano risolvere ogni problema. E’ un’illusione occidentale moderna. Le vittime di questa tragedia migratoria non sono né moderne né occidentali. Quando la tragedia è in corso, quando è già irrimediabilmente avvenuta, si può fare tutto il bene possibilie, ma il lieto fine è escluso. Né l’uomo medio e neppure il cristiano mi sembra che riescano a vedere questo.
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