Nella testa di un monsignore
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Ideologia fallace e rapporti di potere del loquacissimo Galantino
di Redazione | 20 Agosto 2015 ore 06:10 Foglio
Il segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, non rinuncia a mantenere la centralità che si è conquistato con le sue invettive nel mondo mediatico. Aveva annunciato come un “passo indietro” la rinuncia a pronunciare una lectio magistralis in occasione dell’anniversario della scomparsa di Alcide De Gasperi, ma poi ha fatto leggere in quella sede un suo intervento contundente. Aveva annunciato di volersi adoperare per “il rasserenamento di un clima invano esasperato” ma certo non ha poi fatto seguire a questo lodevole intento le conseguenze necessarie per ottenerlo. Eppure, dopo l’intervento del presidente della Cei, Angelo Bagnasco, che spostava il tiro, in materia di immigrazione, sulle organizzazioni internazionali e in primo luogo sulle Nazioni Unite, le distanze non solo di stile con le denunce di Galantino erano apparse evidenti a chiunque, e quindi probabilmente anche a lui.
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Galantino pensa di poter godere di una protezione più alta, che gli consente di trascurare i segnali ormai evidenti di insofferenza che vengono dall’episcopato italiano? Si è molto parlato di una sintonia speciale con Papa Francesco, che però – anche per la diversità di ruolo – ha sempre rivolto appelli umanitari stringenti, ma restando sul piano della predicazione della misericordia umanitaria, senza intromissioni dirette negli ambiti di responsabilità specifica degli stati e più in generale della politica. E’ difficile immaginare il Pontefice che definisce il mondo politico italiano nel suo complesso come “un puzzle di ambizioni personali all’interno di un harem di cooptati e di furbi”. Non aveva usato toni di questo genere nemmeno con la dittatura militare argentina, neppure dopo la sua caduta, pur avendo operato tenacemente per sottrarre le vittime di quel regime alla terribile sorte cui erano destinate dagli oppressori.
Il populismo antipolitico di Galantino si inscrive in una forzatura ideologica del principio di accoglienza che viene generalizzato ed estremizzato al punto da negare persino il diritto morale dei responsabili politici di tentare di governare e selezionare il fenomeno migratorio. Se questa concezione risulta indigesta alla gran parte dei cittadini, Galantino replica con la classica formula antidemocratica secondo cui “il popolo da solo sbanda”, e lo fa, paradossalmente, celebrando De Gasperi, che ha guidato la battaglia della ricostruzione e della scelta occidentale dell’Italia proprio fidando sul giudizio del popolo. Secondo Galantino, invece, il popolo “freme e chiede di essere portato a comprendere meglio la complessità dei passaggi della storia”. Un compito arduo, che in democrazia si svolge attraverso un confronto libero di letture e di visioni in competizione, non con l’adesione obbligata a quella di un pur reverendissimo prelato.
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