Parla Fatima, jihadista italiana: «Decapitiamo in nome di Allah»
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Maria Giulia Sergio via Skype si scaglia con ferocia contro i miscredenti. «Uccidiamo perché lo ordina la sharia». E poi chiede notizie dei genitori arrestati
Maria Giulia alias Fatima, l’italiana che si è unita alla Jihad Prev next
di Marta Serafini, Corriere della Sera,7.7.2015
«Noi quando decapitiamo qualcuno, dico noi perché anche io faccio parte dello Stato islamico, quando facciamo un’azione del genere, stiamo obbedendo alla sharia». La voce di Maria Giulia Sergio è gelida quando inizia a parlare su Skype. La follia si respira in ogni sua sillaba.
Per giorni il suo account è rimasto muto. E alla fine la jihadista italiana, ricercata per associazione con finalità di terrorismo, ha risposto. La linea è disturbata. La connessione non è abbastanza buona da potersi mostrare in volto ma la sua voce è riconoscibile chiaramente. È la stessa delle intercettazioni della Digos di Milano che l’ha tallonata per mesi. E la stessa di quella ragazza di 28 anni, originaria di Torre del Greco, che è partita per la Siria nel settembre del 2014 insieme al marito albanese Aldo Kobuzi.
All’inizio della conversazione Maria Giulia alias Fatima Az Zahara chiede notizie. La sua famiglia è stata interamente arrestata. Vuole sapere se stanno tutti bene. Per mesi Maria Giulia ha cercato di convincerli ad abbandonare la villetta color ocra di Inzago per intraprendere la hijra (la migrazione) nello Stato islamico. Ha perfino spiegato alla madre Assunta, al padre Sergio e alla sorella Marianna che tipo di valigia acquistare per il viaggio. Ha incoraggiato suo padre, un cassaintegrato di 60 anni, a riscuotere i soldi della liquidazione e ad abbandonare tutto per trasferirsi in Siria. Ma prima che potessero partire sono finiti tutti in cella. Per lei questa operazione di antiterrorismo che ha portato all’arresto di dieci persone «è un buco nell’acqua perché non serve a niente. È illogico ed è irragionevole che la polizia italiana decida di arrestare queste persone», afferma. Per mesi la Digos l’ha intercettata. Ma lei ha continuato a parlare con la famiglia, anche quando sapeva che la sua storia era finita sui giornali. «I messaggi che mi scambiavo con i miei genitori e mia sorella non erano di incitamento al jihad o qualcosa del genere. Noi parlavamo di come i miei genitori avrebbero potuto fare una buona vita, qui nello Stato islamico», si giustifica.
Maria Giulia nel 2014 ha sposato un combattente dell’Isis. È diventata la moglie di un jihadista proprio per partire e unirsi alla guerra santa. Era una studentessa di Biotecnologie della Statale di Milano che amava truccarsi. Oggi si è trasformata in una terrorista. Giustifica le violenze, le decapitazioni. Ed è disposta a vivere sotto il comando di uomini che stuprano, schiavizzano e decapitano le donne con l’accusa di stregoneria, esattamente come succedeva nel Medioevo. Solo che il Medioevo è qui, ora. E parla in chat, su Skype: «Questi che vengono decapitati sono ladri, sono ipocriti, agiscono come spie nello Stato islamico. E riportano le informazioni ai miscredenti per poi attaccarci», grida nel microfono. E ancora: «Qui non schiavizziamo le donne ma le onoriamo. Basta usare sempre i soliti argomenti». A nulla vale chiederle conto delle torture, delle brigate femminili e dei bambini usati come soldati. E non serve nemmeno domandarle come giudica gli orrori che ormai da un anno tutti i giorni i suoi leader diffondono in Rete per reclutare e terrorizzare.
«Lo Stato islamico, sappi, è uno Stato perfetto. Qui non facciamo nulla che vada contro i diritti umani. Cosa che invece fanno coloro che non seguono la legge di Allah». L’indottrinamento è talmente profondo da portarla a cercare di reclutare anche chi la sta intervistando. «Tu conosci le storie di Guantanamo o delle altre prigioni nascoste. Lo Stato islamico non tortura nessun prigioniero, okay? Ma agisce secondo la sharia. Secondo la legge di Allah misericordioso». Va dritta per la sua strada di follia, non importa che Islam significhi pace. Se non è la prigione di Guantanamo sono i bombardamenti della coalizione gli argomenti con cui giustificare se stessa e il marito. Scandisce le parole, fa sfoggio di qualche parola d’arabo. A tratti si fa sarcastica.
«Tu sai che tutto il mondo ci attacca? Lo sai vero questo? Ti faccio solo un esempio: due giorni fa è arrivato qui, un aereo “autocomandato” (un drone, ndr) carico di esplosivo per distruggere non so quante….». La connessione si interrompe a tratti. «Qua ci sono le donne e i bambini». Non vuole confermare che «qua» sia il Nord della Siria, che i jihadisti hanno conquistato e tentano di controllare dopo aver terrorizzato la popolazione e aver ridotto in schiavitù le minoranze. Per Fatima conta solo che lo Stato islamico prosperi, le vittime sono danni collaterali. Prima che cada la linea tenta ancora di lanciare un ultimo proclama. «Allah comanda che al ladro venga tagliata la mano. Perché questo sia un esempio per tutti. Così nessuno più si permetterà di venire qua a rubare». Poi, basta, la connessione salta. E Maria Giulia torna Fatima, un volto nascosto da un velo nero.
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