Croci da abbattere perché “troppo vistose”. Mosul? No, Francia
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Rapporto sui cristiani discriminati in Europa. A rischio la libertà religiosa
di Redazione | 06 Maggio 2015 ore 06:18 Foglio
La statua di Giovanni Paolo II fatta rimuovere a Ploermel perché ha una croce "troppo vistosa"
Roma. Non serve andare a Mosul per vedere le croci rimosse dai bulldozer. Basta prendere il treno, magari ad alta velocità, e fare una capatina nei dintorni di Rennes, in Francia, dove c’è sempre un tribunale républicain pronto a ordinare che i monumenti con qualche simbolo che rimandi a Cristo e alla sua religione debbano essere rasi al suolo. Stavolta è andata male a una statua di san Giovanni Paolo II che, a giudizio dei giudici amministrativi bretoni, “ha un carattere troppo ostentato” nella piazza di Ploermel. Se non ci fosse stata la croce, si legge nella motivazione, la legge sulla separazione tra stato e chiesa del 1905 si sarebbe potuta aggirare, lasciando così a bocca asciutta la Federazione nazionale del libero pensiero, che in pochi mesi è riuscita a far mettere negli scatoloni alcuni presepi e a far rimuovere da un parco pubblico dell’Alta Savoia una statua della Madonna. Il caso di Rennes è storia di questi giorni, tanto che l’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa non l’ha inserito nel suo annuale rapporto. Un dossier riempito da centocinquanta casi: chiese e cappelle date alle fiamme, coperte di graffiti, insozzate con scritte blasfeme dai colori sgargianti, in modo che anche l’occhio più distratto possa accorgersi del misfatto.
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Ma a Valls non interessa La Francia, ça va sans dire, domina la triste classifica: dall’oltraggio alla basilica del Sacro Cuore – ma il cardinale arcivescovo, mons. André Vingt-Trois, aveva subito osservato che la religione c’entrava ben poco, che semmai s’era trattato dell’azione di qualche “pirla” di passaggio a Montmartre – alla devastazione della chiesa di Sainte-Odile a Parigi, con il suo fonte battesimale rovesciato, la statua di Gesù Bambino gettata a terra così come i candelieri sull’altare. “Era davvero determinato”, dissero quasi stupiti i poliziotti dopo aver fermato il giovane devastatore. A Basilea, ogni primo sabato del mese, cinque membri dell’Ufficio centrale islamico svizzero distribuivano in Claraplatz libri in cui si suggeriva, senza troppi preamboli e dotte elucubrazioni, di eliminare cristiani ed ebrei e di portarsi a casa pure i portafogli. E l’elenco potrebbe continuare: da chi usa i confessionali lignei come orinatoi, a quanti propongono su manifesti elettorali la chiusura delle parrocchie e delle scuole cattoliche in quanto “fortini di fondamentalismo religioso” (così Vincent Maurin, candidato comunista a Bordeaux).
Ma non è solo la desolante sequela di episodi a delineare come i cristiani stiano sempre più divenendo corpi estranei nel continente che affonda le radici nel monachesimo medievale e nella competizione tra campanili e cattedrali. Né si tratta di instillare nel cittadino europeo una sorta di sentimento religioso progressivamente smarrito: “In Germania il 67 per cento della popolazione disapprova la decristianizzazione delle tradizioni culturali”, ha detto la direttrice dell’Osservatorio, Gudrun Kugler. Semmai, è un problema di legislazioni sempre più votate alla restrizione della libertà religiosa, nonostante qualche tribunale riconosca ancora la validità della clausola di coscienza. Si prenda il caso di Lillian Ladele, impiegata in un’anagrafe londinese, restia a registrare le unioni tra persone dello stesso sesso, in quanto contrarie al suo credo religioso. La risposta del suo superiore fu semplice: registrare quei matrimoni o andarsene. In tribunale, mrs. Ladele ha vinto.