Un eterno Venerdì santo di rassegnazione
- Dettagli
- Categoria: Religione
Quanto accaduto in Kenya non è stato un “bagno di sangue”, un atto terroristico è stata, come da rivendicazione, una “operazione contro gli infedeli”. Studiare in un College cristiano, appartenere a una comunità mista, equivale a una condanna a morte per miscredenza.
di Giuliano Ferrara | 04 Aprile 2015 ore 06:24
Sono entrati al mattino nel giorno dell’umiltà in coena Domini. Si sono sparsi per i dormitori del Garissa University College, nel Kenia orientale, e hanno selezionato i musulmani, per risparmiarli, e individuato le studentesse e gli studenti cristiani, per massacrare le une e gli altri. Come avranno fatto la cernita per arrivare al numero di 147 martiri? Due anni fa un’altra strage nel mall di Nairobi: domandavano che nome avesse la madre del profeta, o la sua prima moglie, e a una esitazione nella risposta fucilavano clienti del centro commerciale e passanti. Anche Bin Laden aveva dei dubbi sul gruppo operativo somalo al Shabaab, che non stava abbastanza attento a colpire solo crociati ed ebrei, ma dopo un anno dalla sua morte al Shabaab ha trovato la soluzione, o così pare, ed è entrato nell’organico di al Qaida.
ARTICOLI CORRELATI Davanti al genocidio di cristiani, più del dialogo potranno le bombe Il venerdì santo dei martiri cristiani. “L’occidente sembra Pilato” Kenya connection
Non è stato un “bagno di sangue”, un atto terroristico. Sono definizioni improprie e falsamente consolatorie, per quanto macabre e paurose. E’ stata, come da rivendicazione, una “operazione contro gli infedeli”. Studiare in un College cristiano, appartenere a una comunità mista, equivale a una condanna a morte per miscredenza. Non c’entra se non simbolicamente l’imperialismo coloniale degli occidentali, il colore della pelle degli uccisi, la circostanza di fatto che è maschera di un’ideologia politica assassina. C’entra il discrimine tra chi si è assoggettato e chi no. Il confine della sottomissione è entrato con feroce violenza nell’istituzione educativa. Annichilirne 147 per colpirne a milioni, in una guerra a chi non si sottomette.
La reazione è di “dolore e preoccupazione”, le parole del Papa che appronta la via Crucis con il testo delle meditazioni sulle colpe del clero pedofilo e la sporcizia dei peccati nella chiesa. Obama farà in luglio un viaggio nel suo paese d’origine, il Kenya. Ha appena siglato un accordo con gli ayatollah iraniani, a Losanna non a Monaco, che promette “pace nel nostro tempo”. Ma dove è finita l’iradiddio? Dove si è rintanata la giustizia divina dei cristiani, dei cattolici? Dove è segnato universalisticamente il tracciato dell’inconciliabilità, dell’autodifesa, della guerra giusta?
Matteo Matzuzzi ha rubricato qui da mesi le implorazioni del clero orientale, dalla piana di Ninive agli altri luoghi della carneficina, in cui si chiede di approntare la difesa nella sua unica forma possibile, una reazione di violenza giusta incomparabilmente superiore a quella subita. Lo sterminio selettivo dei cristiani e degli ebrei, motivato dall’odio religioso e dottrinale, dovrebbe mettere un potente disordine là dove regna l’ordine della misericordia, dell’intimità della fede, della rassegnazione, dell’irenismo. Se un vento di morte paralizza l’Africa, se etnie e denominazioni religiose sono sotto attacco sradicante, se si moltiplicano le carneficine, se vengono abbattuti templi e persone e statue e campanili e crocifissi, è segno di compassione e di amore per il nemico evitare una reazione più che proporzionata, limitarsi al cordoglio? Non si può promettere una Pasqua di Resurrezione, atto liturgico fondativo della chiesa di Cristo, se la pietra che ingombra i sepolcri è sempre più grande, più dura, e sempre meglio sorvegliata dai carnefici. E’ difficile fare gli auguri di buona Pasqua. Farli pubblicamente. Farli oggi, quando sembriamo condannati a un eterno venerdì santo di rassegnazione, senza conseguenze.