Il Vaticano dà l’altolà al cardinale Zen: l’accordo con la Cina non si critica
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Lettera del decano. Il vescovo emerito di Hong Kong risponde
di Matteo Matzuzzi 3.3. 2020 ilfoglio.it –lettura 3’
Roma. Che la “questione cinese” fosse complicata e lungi dall’essere risolta con l’accordo provvisorio relativo alla nomina dei vescovi siglato nel settembre del 2018, era chiaro fin dall’inizio. Soprattutto perché di quell’intesa non si conoscevano – né si conoscono ora – i punti caratterizzanti e le clausole. Nessun mistero: gli accordi, se segreti, funzionano anche così. Lo insegna la storia della diplomazia. Di certo la resistenza di una parte della chiesa è stata forte, a cominciare dal cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, che fin dal principio ha contestato quello che riteneva essere un appeasement, un cedimento totale al regime comunista di Pechino, che continuava imperterrito a sequestrare presuli e a demolire chiese e croci perché ree di deturpare lo skyline di qualche megalopoli locale. Zen ha parlato liberamente, da sempre: è venuto più volte a Roma, è stato a cena con il Papa, gli ha spedito lettere. Ma è anche andato oltreoceano, in America, e lì – soprattutto lì – non ha risparmiato critiche e accuse al segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin, primo imputato per l’accordo stretto con Xi Jinping. Accuse di tradimento che lambivano anche lo stesso Pontefice, che mai avrebbe risposto alle missive speditegli da Hong Kong. La risposta vaticana è giunta con una irrituale lettera inviata a tutti i cardinali firmata dal nuovo decano del Collegio cardinalizio, Giovanni Battista Re, datata 26 febbraio e protocollata come il primo atto del porporato nel nuovo incarico. La lettera, diffusa in Italia dalla Nuova bussola quotidiana, è molto dura nei confronti di Zen, che a sua volta aveva scritto a tutti i cardinali a settembre. Re imputa al vescovo emerito di Hong Kong di aver “contestato la stessa guida del Santo Padre anche nei confronti dei cattolici ‘clandestini’, nonostante che il Papa non abbia mancato di ascoltare ripetute volte l’em.mo cardinale e di leggere le sue numerose missive”. Zen, infatti, in un’intervista concessa il 24 ottobre del 2018 al New York Times, aveva invitato i cattolici ad “attendere tempi migliori, tornate alle catacombe, il comunismo non è eterno”. Affermazioni “purtroppo molto pesanti”, a giudizio del decano. Il vescovo cinese aveva anche parlato di “uccisione della chiesa in Cina da parte di chi dovrebbe proteggerla e difenderla dai nemici”, frase grave che ha meritato la sottolineatura di Re.
La questione è delicata, perché a Zen viene imputata anche la convinzione secondo la quale sarebbe stato meglio nessun accordo piuttosto che un brutto accordo.
Il decano, ricordata questa frase del vescovo salesiano, scrive che “i tre ultimi Pontefici non hanno condiviso tale posizione e hanno sostenuto e accompagnato la stesura dell’accordo che, al momento attuale, è parso l’unico possibile”. Il cardinale Re, inoltre, osserva che il primo a favorire il ritorno alla piena comunione dei vescovi consacrati illecitamente dal 1958 poi sarebbe stato Giovanni Paolo II, il quale avrebbe anche promosso “l’idea di pervenire a un accordo formale con le autorità governative sulla nomina dei vescovi”. Non solo: il decano scrive che “dopo aver preso conoscenza di persona dei documenti esistenti presso l’Archivio corrente della Segreteria di stato, sono in grado di assicurare che Papa Benedetto XVI aveva approvato il progetto di accordo sulla nomina dei vescovi in Cina”. Il cardinale Zen ha prontamente risposto sul suo blog, con una lettera inviata allo stesso decano: “Per provare che l’accordo firmato era già stato approvato da Benedetto XVI basterebbe mostrarmi il testo firmato, che fino a oggi non mi è stato permesso di vedere. Rimarrebbe da spiegare perché l’accordo, allora, non fu firmato”.
E per quanto riguarda la linea ideata da Giovanni Paolo II e perseguita dal successore, il vescovo emerito di Hong Kong si limita a ricordare quanto Ratzinger disse a Peter Seewald in Ultime conversazioni. Alla domanda se avesse condiviso e sostenuto attivamente la Ostpolitik, Benedetto XVI rispose: “Ne parlavamo. Era chiaro che la politica di Casaroli, per quanto attuata con le migliori intenzioni, era fallita. La nuova linea perseguita da Giovanni Paolo II era frutto della sua esperienza personale, del contatto con quei poteri. Naturalmente allora non si poteva sperare che quel regime crollasse presto, ma era evidente che, invece di essere concilianti e accettare compromessi, bisognava opporsi con forza.
Questa era la visione di fondo di Giovanni Paolo II, che io condividevo”. Zen torna ad accusare il segretario di stato Parolin che a suo dire “manipola il Santo Padre, il quale mi manifesta sempre tanto affetto ma non risponde alle mie domande”.
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