Addio al celibato dei preti
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Chi vuole davvero i sacerdoti sposati non ha una grande idea del cristianesimo. Note storiche
di Angela Pellicciari 23.1. 2020 ilfoglio.it lettura3’
Si discute di preti sposati da cinquecento anni. Il sacerdozio e il matrimonio sono sotto attacco da quando il più grande rivoluzionario del Secondo millennio, Martin Lutero, decreta che né l’uno né l’altro sono sacramenti. Da quando l’intervento della grazia è escluso sia dallo stato matrimoniale che da quello sacerdotale. A riguardo del sacerdozio a dire il vero Lutero non si limita a volere preti sposati: in nome dell’uguaglianza dei fedeli di fronte a Dio impone la cancellazione del sacerdozio. Niente gerarchia e niente magistero.
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Ai nostri giorni non si parla di abolizione del sacerdozio, si vuole solo renderlo compatibile con le esigenze della vita moderna: ci si limita a chiedere che anche i preti possano sposarsi. Cosa ha da dire Lutero al riguardo? Niente a proposito dei preti, ma molto rispetto ai religiosi. Lui, monaco agostiniano, in un primo momento mette al bando la possibilità che a qualcuno venga in mente di emettere i voti (castità, povertà, obbedienza), poi ci ripensa e parla della loro liceità solo per un tempo: come si fa ad impegnarsi per sempre mettendo in discussione in modo tanto vistoso la propria libertà?
Lutero e con lui il mondo moderno immergono l’uomo nella relatività negando che, creato ad immagine e somiglianza di Dio, sia in grado di fare scelte assolute. Scelte che valgono per sempre. Scelte che, con l’aiuto del sacramento, cioè della grazia, rendono possibile una vita santa: “siate santi perché io il Signore vostro Dio sono santo”, Lv19.
Investita dall’onda d’urto della rivoluzione luterana, è tutta la società europea che sbanda. In particolare, come ovvio, sono le regioni tedesche ad essere le più disorientate. E’ proprio in Germania che si fa strada la proposta di abolire il celibato sacerdotale. Perché? Perché ci sono pochi preti e molti di questi sono concubinari. Stando così le cose gli imperatori Ferdinando I e suo figlio Massimiliano II propongono una soluzione di buon senso: sanare la situazione dei preti concubinari e porre fine al celibato ecclesiastico: “che si dispensino i preti ormai ammogliati e si conceda che in regioni povere di preti siano ammessi agli Ordini dei laici coniugati”. Così racconta Ludwig von Pastor nella sua Storia dei Papi.
Nonostante l’estrema difficoltà del momento e la necessità di salvare le buoni relazioni con l’impero, la posizione di Roma è chiara: al Papa compete il dovere di occuparsi del mondo intero “e non della sola Germania e non può per salvare un solo paese inferire un grave danno all’intero corpo della chiesa”. Per non dire che, una volta “che si concedesse in Germania”, la novità sarebbe immediatamente estesa alle altre nazioni cattoliche. E infine, permettere il matrimonio ai preti è una decisione radicalmente errata perché è “un mezzo sbagliato volere rialzare la religione mediante cessioni alla sensualità”.
Molte le analogie fra la situazione di ieri e quella di oggi. A cominciare dal ruolo pilota della Germania, nazione imperiale, che si fa paladina della riforma e lo fa ricorrendo alle stesse concrete evidenze: mancano preti. L’unica differenza di rilievo è che oggi a guidare le danze riformatrici sono i vescovi, non gli imperatori.
Nel corso del tempo, a puntare sull’abolizione del celibato non sono solo gli imperatori (cattolici?) del sedicesimo secolo. Anche giacobini e comunisti all’inizio delle rispettive rivoluzioni sponsorizzano la possibilità che i preti si sposino. Divide et impera: la guerra al cristianesimo va fatte per tappe. Senza contare l’ovvietà che un prete costretto a mantenere moglie e figli è molto più ricattabile, e quindi condizionabile, di uno celibe che non ha responsabilità familiari.
In sintesi: a favore dei preti sposati sono da un lato i cristiani che vengono a patti con la santità della vocazione cristiana e dall’altro i più feroci nemici della religione cristiana.