1-Il tema Salvini ancora scalda il dibattito tra i vescovi

2- I cattolici stanno voltando le spalle a Trump

ILa Gran Sottana 1.6.2019 www.ilfoglio.it

Il segretario di stato ha aperto al dialogo con il leader leghista. Ora i porporati si stanno chiedendo se è il caso di farlo o meno

di La Gran Sottana 1 Giugno 2019    www.ilfoglio.it

"Ha sentito il segretario di stato?". Il vescovo, quello che la scorsa settimana mi aveva parlato del rapporto tra la Cei e Salvini all’esterno della libreria in piazza San Pietro, mi chiama al telefono mentre sto mangiando un panino con salsiccia e cicoria. No, gli rispondo. Non ho sentito quel che ha detto Pietro Parolin. Lui ride, dice che sta per andare a pranzo con “alcuni vescovi un po’ stufi di questo detto-non detto dei vertici” e mi spiega che il segretario di stato ha aperto al dialogo con il nemico leghista. “Ma era ovvio! Hanno sottovalutato tutto, soffiando sulle braci ed esaltando cardinali che riattaccavano la corrente a stabili occupati. Anche i bambini sapevano che tutto questo avrebbe spinto ancora più su Salvini. Io non so, è una roba da matti! E’ miopia, miopia! Sono totalmente distaccati dalla realtà. Vivono su un altro pianeta e poi si lamentano se le chiese sono vuote, gli oratori pure e alle elezioni la gente vota la Lega. Miopi!”.

Suggerisco al vescovo di calmarsi e gli domando cosa accadrà ora: “Si cercherà un’intesa, si dovrà pur parlare con il governo, no? Si parla con il governo del Venezuela, con quello cinese, e non con quello italiano? Ma sanno davvero quello che stanno facendo?”. Non è che sta attaccando il Papa, eccellenza? “Ma come la pensa il Papa lo sappiamo tutti, il problema è che i consiglieri non gli hanno rappresentato bene la situazione del nostro paese. Ma è mai possibile?”. L’impressione è che i fuochi d’artificio siano pronti a partire, e ne vedremo delle belle.

2- I cattolici stanno voltando le spalle a Trump

Brutte notizie per il presidente americano in cerca di rielezione

di Matteo Matzuzzi 2 Giugno 2019    www.ilfoglio.it        

Roma. Donald Trump farebbe bene a preoccuparsi dei cattolici se vuole restare alla Casa Bianca per altri quattro anni. Non tanto dei cattolici sui generis che affollano le primarie democratiche, ma dell’elettorato cattolico che nel 2016 preferì lui a Hillary Clinton, risultando determinante per il trionfo repubblicano. Negli ultimi decenni mai nessuno è entrato alla Casa Bianca senza aver vinto, anche di poco, il voto cattolico. L’ultimo sondaggio Quinnipiac – istituto serio – stima infatti che il 55 per cento dei cattolici sostiene di aver già deciso di negare il voto a Trump alle presidenziali del prossimo anno. Il 32 per cento gli ridarà fiducia e il 12 ci penserà. Anche se gli indecisi alla fine propendessero per The Donald, il risultato sarebbe 55 per cento a 44, un margine che – ha rilevato il Religious News Service – “rappresenterebbe un duro colpo alle sue speranze di rielezione”. Lo dicono i numeri e i precedenti: tre anni fa i cattolici americani scelsero Trump (50 a 46 per cento) mentre già alle midterm dello scorso novembre i rapporti di forza erano invertiti: il 50 per cento ai democratici, il 49 ai repubblicani. Il dato rilevante è che è proprio tra i cattolici che si osserva un’erosione più marcata del consenso: tra i cristiani non cattolici, coloro che votarono Clinton erano il 39 per cento, mentre oggi voterebbe per un candidato democratico il 41 per cento. Poca roba. Resiste il bacino evangelico, che è pronto a scegliere di nuovo Trump in massa: tra il 60 e il 75 per cento.

Chi è che ha cambiato idea rispetto a tre anni fa? I primi indiziati sono i latinos, vuoi per il muro al confine con il Messico, vuoi per l’adozione di politiche non proprio pensate per quella larga – e sempre più larga – parte della popolazione americana. Sbagliato. I latinos non si sono spostati in massa verso i democratici – o meglio, votano quello che già votavano prima – ma a essersi mossi sono i cattolici bianchi. E’ qui che Trump ha perso sempre più terreno e nulla fa intravedere un cambiamento. Il problema, per i repubblicani, è evidente: perdere consenso in questo gruppo di elettori significa probabilmente consegnare all’avversario quegli swing states moderati che sempre in America consegnano le chiavi della Casa Bianca. Bastano poche migliaia di voti per far cambiare di segno le elezioni. A maggior ragione se nel campo avverso c’è pure Joe Biden, cattolico liberal ma dal volto rassicurante. Il fenomeno è interessante perché evidenzia la spaccatura profonda che c’è all’interno della chiesa americana, divisa tra i nostalgici delle culture war e chi guarda alla linea bergogliana. Una divisione netta ed evidente che raggiunge i vertici episcopali, con i “nuovi” – i cardinali Blase Cupich e Joseph Tobin e il neoarcivescovo di Washington, Wilton Gregory – a cercare di scardinare il conservatorismo muscolare che per quasi un trentennio ha guidato – con qualche anno di pausa – la politica ecclesiale degli Stati Uniti. Dopotutto l’indirizzo giunto da Roma è chiaro, basta considerare le nomine di questi anni a indicare che una fase va chiusa.

Ma c’è un altro aspetto che viene sottolineato nel commentare la disaffezione cattolica per Trump e ha a che fare con la predilezione dell’attuale Amministrazione per gli evangelici e per la relativa agenda. Un innamoramento poco ideale ma poco concreto, considerando che senza il loro appoggio – il vicepresidente Mike Pence copre abbondantemente Trump su quel fronte – non vi sarebbe mai stata una vittoria repubblicana alle presidenziali del 2016. Il problema è che, salvo presso l’ala iperconservatrice del cattolicesimo americano, quell’intesa ha “raffreddato” i cattolici più moderati. La sfida per la squadra dell’attuale presidente è quella di recuperare almeno parte di quell’elettorato disilluso. Un fallimento in quest’opera di ricucitura precluderà ogni possibilità di rielezione.

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