Un processo a Francesco
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Un Papa che non capisce i princìpi non negoziabili è per me, che sono laico e devoto, un filosofo che non accetta la ragione, la mette di lato, che risolve tutto nella storia. Il pamphlet di Valli con postilla sul relativismo all’ingrosso
di Giuliano Ferrara 13 Dicembre 2016 alle 05:57 Foglio
Dall’interno della chiesa o se preferite del mondo cristiano-cattolico è nato e si consolida un “caso Bergoglio”.
Il Papa è messo in discussione apertamente. Cardinali dissenzienti, tra i quali l’ottimo Arcivescovo emerito di Bologna Carlo Caffarra, così simile a Pio IX nel volto ottocentesco, rispettosamente scrivono al Beatissimo Padre sul “divorzio cattolico” della Amoris laetitia, esortazione pontificia seguita ai famosi due sinodi sulla famiglia, e non ricevono altra risposta se non una sorta di censura morale, più qualche controverso sberleffo del selfie-gesuita confidente di Francesco, il Reverendo Padre Spadaro della Civiltà Cattolica, e di vari cortigiani anche laici. Apocalittici intelligenti e argomentati contestano tutto nel segno del rigetto (il Papa non è il Papa, ci sono due papi l’un contro l’altro armati, il problema è che ormai si tocca una dimensione eretica: letteratura Socci). I tradizionalisti come il professor Roberto de Mattei, in uno con una vasta rete di bloggers combattivi, insistono nella loro critica dottrinale spietata degli errori, cioè delle eresie moderniste, di cui il successore di Pietro si renderebbe colpevole protagonista. Ora arriva un pamphlet di Aldo Maria Valli per Liberilibri (titolo: “266. Jorge Mario Bergoglio Franciscus P.P.”).
Valli è il vaticanista principe del Tg1, un cattolico ardente dai toni moderati, familiari, devoti, uno che da decenni racconta le storie papali per il grande pubblico e commenta con lo speciale fervore che gli è proprio i fatti e i problemi della vita cristiana e cattolica. Ruolo e tono di Valli sono diversi dagli altri, cercano disperatamente la moderazione, però la diagnosi è molto severa. E impressionante la documentazione sul filo dei tre anni di pontificato. I turiferari, quelli che servono la corte papale spesso in modo impudente, dipingendo il beniamino delle folle laiche e cattoliche come un povero predicatore assediato dai lupi e dalle tenebre di un nuovo medioevo, hanno pane per i loro denti. Di Trump si è detto che i suoi avversari lo hanno preso alla lettera e non lo hanno preso sul serio, mentre i suoi elettori non lo hanno preso alla lettera ma lo hanno preso sul serio. Efficace descrizione di un fenomeno. Valli secondo me fa parte della prima categoria, non prende Francesco sul serio ma registra alla lettera quelle che giudica le sue bavures, gaffe, i suoi imbizzarrimenti pastorali e para teologici. L’elenco è sterminato. Sul piano anche solo documentario è un servizio alla comprensione del “caso” di rara utilità.
I lettori del Foglio ne conoscono in anticipo il contenuto, Matteo Matzuzzi è sempre equilibrato ma non perdona quando deve raccontare con libertà Francesco, e un nostro vecchio libriccino, “Questo Papa piace troppo”, fu loquace se non eloquente in merito già un anno dopo l’elezione al soglio del Papa venuto dalla fine del mondo (un capitolo del libro di Valli si intitola a un Papa che “piace troppo”). La dottrina cattolica è messa da parte come un ingombro, per quanto formalmente ribadita qui e là, in favore della pastorale, cioè della prassi cattolica in un tempo determinato, sapendo che per questo Papa “il tempo è superiore allo spazio”: così Valli. Ora i dogmi e la dottrina hanno in qualche modo una storia, ce lo ha spiegato il cardinale John Henry Newman, ma nonostante quel che dice Francesco a Scalfari (“Dio non è cattolico”) l’impressione è che Dio sia cattolico in quanto universale, universale ed eterno come i dogmi che lo riguardano e ci riguardano, mentre la pastorale, quella sì, può non essere cattolica, perché è il regno delle opinioni, sebbene autorevoli, conciliari, consacrate dalla vita della chiesa che governa, per dir così, il soffio vago e multidirezionale dello spirito nel tempo. Poi c’è il giudizio, che a nessuno è dato pronunciare secondo il famoso motto catechistico “chi sono io per giudicare?”.
Una derivazione dal vangelo molto più problematica di quanto non si pensi. Come dice Valli, basta pensare al credo cattolico con quel Dio incarnato, e risorto, che tornerà sulla terra a giudicare i vivi e i morti. Poi c’è tutto il resto: le cortesie per ospiti graditi verso l’islam, e le scortesie verso i parenti di Asia Bibi, condannata a morte per apostasia e imprigionata in attesa di una misericordia che non arriva. E una gran confusione nei pronunciamenti più vari, politici (ultimo il caso Trump con la consegna degli Stati Uniti d’America a un “non cristiano”, secondo la definizione improvvisata e polemica del Papa in aereo, che non è poco) e geopolitici, etici, intraecclesiali, curiali, episcopali (la curia come “lebbra” della chiesa, “non ho mai capito cosa siano i princìpi non negoziabili”). Francesco è buono, dice Valli, e ha fini di riconciliazione in ogni campo con il mondo com’è, che infatti lo applaude come una star del permissivismo universale anche se diserta ancora la sua chiesa, il risultato è cattivo, confuso, pasticciato nelle parole e nei gesti di questi tre anni di papato. I fedeli sono confusi, non sanno più se a far figli nel matrimonio cristiano non si finisca per essere “come i conigli”, animali e bigotti non illuminati dallo spirito, anche quello strano Paracleto della contraccezione o dell’aborto.
Non sanno più come giudicare la violenza jihadista contro i vignettisti libertini che esercitano a loro modo la libertà di espressione, anche blasfema, perché il Papa dice che “se uno ti parla male di tua madre, la religione, sei autorizzato a dargli un pugno”, dizione popolaresca e ambigua, tecnicamente collaterale al 7 gennaio 2015 di Parigi, Charlie Hebdo. Non capiscono perché il martirio dei cristiani debba essere nascosto e, preghiere a parte, trattato con una certa riluttante indifferenza. Interviste, sopra tutto interviste, ma anche viaggi, pronunciamenti vari nelle udienze e nella catechesi, tutto è all’insegna di un perdono che, preso alla lettera, consacra in nome della misericordia più o meno qualsiasi cosa o comportamento si affacci nella storia umana della modernità e postmodernità, eh già, il tempo è superiore allo spazio e anche alla penitenza e all’espiazione. Il denaro è astrattamente condannato, quello sì, in nome di una dottrina sociale intinta nel peronismo, nella teologia del popolo sudamericana, e l’ecologia è onusiana, non creaturale. Si potrebbe continuare all’infinito, ma il libro di Valli è lì per essere letto, compulsato, esaminato come un documento che molti lettori considereranno testimonianza ambigua di un papato ambiguo e tutt’altro che innocente e remissivo e tenero come si autocomprende. Perché dico che Valli non prende il Papa abbastanza sul serio, pur descrivendolo perfettamente preso alla lettera?
Perché penso che alla radice di quanto accade nella chiesa cattolica c’è qualcosa di profondo e inquietante che a Valli sfugge. A me non interessano i dogmi o la dottrina o la dottrina morale in quanto uomo di fede che non sono, ma in quanto il magistero cattolico è stato fino a Francesco una testimonianza contro la riduzione di tutto a storia, un elemento di contraddizione rispetto a quel mondo “liquido” che sulla scorta di Bauman Valli cita spesso nel suo pamphlet. Liquido vuol dire storicistico, cioè relativistico, all’ingrosso. Un Papa che non capisce i princìpi non negoziabili è per me, che sono laico e devoto, un filosofo che non accetta la ragione, la mette di lato, che risolve tutto nella storia, che ha in uggia le permanenze classiche della filosofia e della nobile arte della filosofia politica, prima tra tutte la differenza razionale di bene e di male, alla quale prepone in modo intransigente il fideismo, il misticismo dell’abbandono interiore alla misericordia e al perdono di Dio.
La chiesa non può interferire nella vita personale degli uomini, dice Francesco beatificando il precetto del permissivismo romantico in nome dell’amore. Il suo punto di partenza è che l’interferenza è diretta, riguarda la fede e non la ragione, e il rapporto tra un’anima e Dio senza la mediazione efficace della chiesa e della cultura e dell’etica cristianizzate o di derivazione cristiana. Per questo il Papa regnante è quanto di più dissimile esista al mondo da un cattolico liberale, per questo segno radicale e ben interrato nella storia del gesuitismo cinque e seicentesco il Papa che abbraccia il mondo è un casuista, uno che giudica caso per caso e si affida alle intenzioni, alla coscienza personale, alla fede. E punto. E basta.
Francesco non è banalmente un progressista, anzi, coltiva un oscurantismo segreto, quello dell’anima e dell’amore, quello delle buone intenzioni, al posto del libero pensiero cristiano di tipo illuminista, che aveva trovato una sua espressione modernissima e contraddittoria con il mondo com’è nei papati di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, che furono invece dannati dal giro laicista e soi disant illuminista perché toglievano ai chierici della ragione esclusiva e incapace di mistero il loro monopolio sulla cultura e sulla società, sui costumi. Francesco vuole rievangelizzare il mondo (fine santo) partendo dalla liquidazione di un grande patrimonio filosofico e culturale europeo di cui il polacco e il tedesco furono gli ultimi grandi testimoni (mezzo diabolicamente inadatto). E questo non prendere sul serio il papato francescano, sebbene il lavoro di scavo documentale tenda a spiegarlo, e bene, è chiarito da una dimenticanza fatale. Valli cita spesso Ratzinger e Giovanni Paolo come predecessori che dicevano cose diverse da Francesco, e le dicevano divinamente bene. Ma dimentica di farsi la benché minima domanda sul fatto che Francesco segue un’abdicazione dall’esercizio del munus petrino da parte del suo predecessore, il tedesco che fu braccio destro del polacco, non proprio un evento minore nella storia della chiesa e del mondo.
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