Perché la Cina spinge sull’accordo con il Vaticano. Parla padre Cervellera
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Due Chiese. La Chiesa cattolica: quella “patriottica” e ufficiale, riconosciuta dal governo e numericamente meno consistente (4/5 milioni di fedeli) ed una “sotterranea” (con circa 12 milioni di aderenti), fedele a Roma e, a seconda dei momenti, più o meno violentemente perseguitata
Padre Cervellera
Andrea Mainardi PORPORA Formiche.net 13.11.2016
L’accordo tra Cina e Vaticano non è così imminente come molti media auspicano. “Servirà forse ancora un anno”. Invita alla cautela padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews – l’agenzia del Pontificio istituto missioni estere – ed uno dei principali esperti internazionali dello sterminato paese asiatico, dove esistono due comunità di Chiesa cattolica: quella “patriottica” e ufficiale, riconosciuta dal governo e numericamente meno consistente (4/5 milioni di fedeli) ed una “sotterranea” (con circa 12 milioni di aderenti), fedele a Roma e, a seconda dei momenti, più o meno violentemente perseguitata.
A COSA MIRA LA CINA?
Secondo Cervellera, dietro l’attuale fretta di stringere un’intesa ci sarebbe una chiara strategia di Pechino: “Il Paese ha problemi economici, ci sono lotte interne al partito e così si stanno intensificando i controlli, su tv, giornali, avvocati, Ong e religioni. Per questo si insiste perché il Vaticano accetti un accordo fatto in fretta e furia”. Il rovescio della medaglia è una mossa del governo per mostrarsi “aperto” di fronte al mondo e intanto guadagnare informazioni: “Oggi in Cina non ci sono forse più tutti i martiri del sangue che abbiamo conosciuto in passato. Anche se è un anno dalla morte sospetta, ‘suicidata’, di padre Yu. Ma il controllo sui vescovi è spaventoso. Si vuole firmare un accordo per fare emergere la Chiesa sotterranea che attualmente è incontrollabile”. E non sarebbe la prima volta. Il sospetto è che si verifichi quello che si temeva con la politica conciliante adottata dalle autorità cinesi tra il 2006 e il 2010, dettata da una logica di riemersione, individuazione, schedatura e controllo di soggetti considerati pericolosi per l’ordine costituito.
Intanto, alcuni giorni fa, un portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lu Kang, in una conferenza stampa a Pechino, ha garantito la “sincera disposizione a migliore i rapporti con il Vaticano”, assicurando che il governo vuole lavorare con la Santa Sede a “incrementare i legami bilaterali per raggiungere nuovi successi”. Senza specificare quali.
PECHINO VAL BENE UNA MESSA
Già negli anni di Benedetto XVI il Vaticano aveva aperto incontri bilaterali. Allora come oggi i porporati si dividono su linee diverse: quella di un dialogo a tutti i costi per raggiungere un accordo diplomatico (Segreteria di Stato) e quella della fermezza, capeggiata dal cardinal Giuseppe Zen, emerito di Hong Kong. In una lettera inviata a papa Ratzinger nel 2011, Zen manifestava tutto il suo timore verso chi allora spingeva per un “successo immediato e ad ogni costo” che sprofonderebbe “sempre di più i cattolici cinesi nella melma della schiavitù”. L’anziano porporato, paladino della libertà religiosa in Cina e portavoce della Chiesa sotterranea – denuncia Cervellera – oggi in Vaticano non è più ascoltato.
Ma qualcosa sembra stia cambiando. In giugno molti osservatori, critici verso l’attuale corso della diplomazia vaticana, hanno lamentato l’allontanamento da Roma dell’unico cinese “di peso” in curia, l’arcivescovo Savio Hon Taifai, segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, vicino alle posizioni del cardinale Zen e spedito a fare da amministratore apostolico in mezzo al Pacifico. E’ di pochi giorni fa la notizia che l’arcivescovo è stato richiamato a Roma dalla sperduta isola di Guam. Con la nomina di un nuovo vescovo per quella diocesi, il 31 ottobre, Savio entro novembre, primi dicembre, tornerà a tempo pieno a Propaganda Fide, quindi a brevissima distanza dal tavolo che sta dialogando con Pechino.
LA CINA NEL CUORE DELLA SANTA SEDE E DEL PAPA GESUITA
Per la Santa Sede la Cina è un obiettivo strategico da almeno quattrocento anni. Da quando il gesuita Matteo Ricci arrivò a Pechino nel 1601. Papa Francesco, come gesuita, è considerato un catalizzatore per raggiungere un accordo.
Negli ultimi mesi si è molto insistito su un trattato diplomatico e politico. Ma il problema è fondamentalmente ecclesiale, vista la compresenza di due chiese, quella patriottica e quella sotterranea. I nodi da risolvere riguardano di fatto la nomina dei vescovi, prerogativa della Santa Sede e che Pechino invece ha praticamente sempre negato. Analizzando la diplomazia vaticana ai tempi di Ratzinger, Roberto Regoli in “Oltre la crisi della Chiesa”, ha scritto che le relazioni tra Vaticano e Pechino non sono solamente bilaterali, tra due stati, ma sempre trilaterali: “Il terzo partecipante è sempre la Chiesa locale”. Una chiesa che non ha unità, tanto che Benedetto XVI non esitò a parlare esplicitamente di “scisma”.
Quindi non vi è nulla di nuovo in quello che il Vaticano sta facendo: chiedere il rapporto con la Cina che aveva prima del 1949 e ora ha con la maggior parte delle nazioni del mondo, anche nei comunisti Vietnam e Cuba. La novità è che oggi a spingere verso un accordo è soprattutto Pechino. “Per una questione di immagine internazionale – commenta Cervellera – e ovviamente per ridurre il ruolo di Taiwan”. La Santa Sede è tra le sole 22 nazioni al mondo che riconosce la sovranità di Taipei.
I CATTOLICI CLANDESTINI SI SENTONO ABBANDONATI
“C’è una diffusa disperazione, amarezza, e perfino ira fra le comunità sotterranee della Chiesa cattolica in Cina”, riferisce Cervellera, a stretto contatto con gli ambienti cattolici del Paese. Una Chiesa che ha conosciuto persecuzioni, incarcerazioni, martiri, e che oggi si sente “sola e abbandonata” nonostante la fedeltà sempre mantenuta al papa. Per il missionario giornalista, “gli accordi diplomatici possono aspettare”. Cervellera ricorda le parole del vescovo Antonio Li Duan, morto nel 2006: “Non c’è bisogno di cercare a tutti i costi i rapporti diplomatici fra governo e Santa Sede. Solo quando Pechino garantirà piena libertà religiosa alla Chiesa, allora faremo i rapporti diplomatici. Intanto preoccupiamoci di edificare la Chiesa e di evangelizzare la società cinese”. Questo, rilancia il direttore di AsiaNews, è il problema di oggi, non cercare ad ogni costo un accordo sulle nomine dei vescovi: “I cattolici della chiesa sotterranea temono che questo passaggio toglierebbe loro la libertà religiosa, riconducendoli sotto il controllo statale”.
LE TENSIONI TRA LE DUE CHIESE
Ai margini di nuovi negoziati tra Roma e Pechino, le tensioni stanno esplodendo nelle due Chiese in Cina. L’ultima scossa si è registrata con le notizie di nomine non autorizzate di vescovi. Protagonista della colorata vicenda è padre Paul Dong Guanhua che in settembre si è fatto fotografare con mitra e pastorale, dichiarando di essere stato consacrato vescovo nel 2005 per necessità e ragioni di coscienza, e fornendo il suo numero di telefono per chi desiderasse essere consacrato vescovo. Paul Dong è un membro della chiesa sotterranea. I contorni della vicenda delle ordinazioni prêt-à-porter non sono chiari, e c’è chi rileva che il padre soffra di problemi mentali. Una recente dichiarazione del direttore della Sala Stampa vaticana ha ricordato che non è lecito nominare vescovi senza mandato del papa. Doppio segnale vaticano: alla Chiesa patriottica e a quella sotterranea. Anche se c’è chi ritiene che l’ordinazione di padre Dong sia un’altra manovra orchestrata dal governo, per mostrare a Roma l’inaffidabilità della Chiesa clandestina.
Il fatto è che si sta definendo un nuovo round di negoziati tra Roma e Pechino. Églises d’Asie agenzia informativa delle missioni estere di Parigi, riferisce che alcune fonti danno per la chiusura dell’Anno della misericordia una data possibile per il perdono del papa agli otto vescovi della Chiesa ufficiale, ordinati senza il consenso di Roma. Quindi, scomunicati. “Notizie – commenta Cervellera – che acuiscono il senso di frustrazione della chiesa sotterranea. Alcuni accusano il Vaticano di usare due pesi e due misure: carezze per i vescovi e i sacerdoti ufficiali (alcuni dei quali con moglie e figli) e indifferenza e emarginazione per quelli non ufficiali”.
Giovedì, intanto, è stato ordinato in maniera “tranquilla” il vescovo Peter Ding, con la doppia benedizione di Roma e di Pechino. Secondo alcuni, è il primo frutto dell’imminente accordo fra Cina e Vaticano. In realtà – riferisce Asia News che riporta fonti della diocesi di Changzhi – mons. Ding era stato approvato dalla Santa Sede oltre due anni fa. Il benestare di Pechino è giunto nelle scorse settimane.
Sullo sfondo un episodio – riportato da Asia News e da Églises d’Asie – passato inosservato in Occidente, ma non in Cina: il 5 ottobre, dopo l’udienza in piazza San Pietro, Francesco ha posato per una foto con un gruppo di pellegrini cinesi guidati dal vescovo Joseph Xu Honggen, vescovo ufficiale, riconosciuto sia da Roma che da Pechino. Ovviamente non è la prima volta che un vescovo cinese incontra il papa, ma erano incontri sempre molto riservati. “La natura pubblica dell’incontro – scrive Églises – è stato un duro colpo per la chiesa clandestina, che ha visto nel gesto un’affermazione del potere dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi”. Quindi, con l’avvallo del governo. Mentre nel frattempo la polizia ha impedito al vescovo dissidente della diocesi di Wenzhou di esercitare il suo ministero.
ANCHE IL PAPA SI È FATTO CAUTO
Il desiderio di Francesco di visitare il Paese è noto ed è stato ripetuto più volte. In febbraio, in una intervista al quotidiano di Hong Kong Asia Times Bergoglio non ha volutamente affrontato i temi della libertà religiosa, insistendo sull’incontro attraverso il dialogo ed esortando la Cina “accettare il proprio cammino per quel che è stato”, definendola “una grande nazione… una grande cultura, con una saggezza inesauribile”. Nessun cenno alle persecuzioni e ai martiri. In ottobre, di rientro da Baku, rispondendo alla domanda di un giornalista sui rapporti con Pechino, ha rivelato di avere ricevuto un dono dal presidente Xi Jinping. Un fatto storico. Ma Églises d’Asie ha espresso perplessità, definendo “impensabile” il gesto del presidente cinese. Ben più ottimista la ricostruzione dell’italiano Vatican Insider. Ma al di là dell’episodio del dono, la sostanza sta nelle parole del papa, che ha precisato che “si sta parlando, lentamente… Le cose lente vanno bene, sempre. Le cose in fretta non vanno bene”.
Anche per il gesuita Bergoglio, che vorrebbe tanto volare in Cina, è una primavera da preparare con cautela.
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